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Paola Cirani
Leggi i suoi articoliIl Complesso monumentale della Pilotta di Parma ha ospitato il 19 marzo, in collaborazione con l’Università degli Studi di Parma, una giornata di studi («Di codice in codice. I manoscritti del fondo parmense De Rossi e nuovi codici interpretativi per la filosofia arabo-ebraica e la qabbalah»), curata da Fabrizio Amerini e Roberto Gatti, in memoria di due studiosi, Bruno Chiesa e Mauro Zonta, che partendo dal materiale manoscritto hanno indagato il pensiero giudeo-arabo e ebraico.
Suddivisa in due momenti, la giornata ha esplorato nella prima parte la rilevanza del fondo De Rossi nella Biblioteca Palatina di Parma (composto da manoscritti e stampati, è una delle più vaste e pregevoli collezioni di libri ebraici esistenti) nel campo dello studio biblico, postbiblico, filosofico e qabbalistico, oltre che presentare il profilo dell’ebraista e bibliografo Giovanni Bernardo De Rossi (1742-1831) come studioso dell’Islam. La seconda parte della giornata è stata invece dedicata invece alla presentazione di nuove proposte interpretative dedicate alla filosofia ebraica, a quella araba e alla qabbalah, attraverso l’analisi di precisi casi studio forniti da singoli autori (tra cui Maimonide, al-Farabi, Gersonide e altri ancora).
Questi gli interventi della giornata: Paola Cirani (direttrice della Biblioteca Palatina), «“O miei studj [...] compagni fidi ed indivisibili nella mia carriera”. L’eredità di Giovanni Bernardo De Rossi nella Collezione Ebraico-Orientale della Biblioteca Palatina di Parma»; Saverio Campanini (Università di Bologna), «Un certosino a Parma. La visita di studio di G. Scholem alla Biblioteca Palatina»; Emma Abate (Università di Bologna), «Le Bibbie miniate sefardite della Biblioteca Palatina: iconografia e tradizione»; Roberta Tonnarelli (direttrice Museo ebraico di Soragna), «La collezione De Rossi: i frammenti di codici e documenti dal fondo dei manoscritti e dal fondo degli stampati»; Mauro Perani (Università di Bologna), «I codici ebraici più antichi e rari raccolti da Giovan Bernardo De Rossi»; Davide Scotto (Università di Pavia), «De Rossi e il Corano: tra bibliofilia e polemistica cristiana»; Federico Stella (Università L’Orientale, Napoli), «Esoterismo e illuminismo. Leo Strauss e la filosofia islamica»; Roberto Gatti (Università di Parma), «La colomba della filosofia è volata, prima che nei cieli di Königsberg, in quelli di al-Andalus. Alcune considerazioni sulla filosofia ebraica medievale»; Marienza Benedetto (Università di Bari), «Maimonide: nuove proposte interpretative»; e Federico Dal Bo (Università di Modena e Reggio Emilia), «Nuovi studi sulla qabbalah: dalla teosofia alla secolarizzazione».
In margine al convegno, la direttrice della Biblioteca Palatina, Paola Cirani, ci ha inviato un suo testo intervento, che qui pubblichiamo integralmente.
La Biblioteca Palatina di Parma, ora parte del Complesso monumentale della Pilotta, vanta una storia ricca e complessa. Fondata nel XVIII secolo, deve la sua nascita al dotto padre teatino Paolo Maria Paciaudi, incaricato dal duca Filippo di Borbone di creare una nuova biblioteca pubblica dopo il trasferimento a Napoli della collezione farnesiana da parte del fratello Filippo. Grazie alle sue ricerche in tutta Europa, Paciaudi riuscì a raccogliere un’impressionante quantità di testi, tra cui rari manoscritti ebraici e orientali.
Nel corso degli anni, la biblioteca subì diversi cambiamenti, rispecchiando le trasformazioni politiche e culturali del ducato. Un contributo fondamentale arrivò dal religioso Giovanni Bernardo De Rossi, erudito piemontese nato nel 1742, che si distinse per la sua profonda conoscenza delle lingue orientali, in particolare dell’ebraico. Oltre a insegnare all’Università di Parma, De Rossi pubblicò numerose opere, tra cui il celebre De præcipuis caussis et momentis neglectæ a nonnullis hebraicarum litterarum disciplinæ disquisitio elenchtica.
Giunto a Parma nel 1769, lo studioso attirò subito l’attenzione del celebre tipografo Giovanni Battista Bodoni. La loro collaborazione portò alla realizzazione di opere di grande pregio, tra cui Pel solenne battesimo di S.A.R. Ludovico principe primogenito di Parma, Epithalamia exoticis linguis reddita, Oratio dominica e il celebre Manuale tipografico, pubblicato postumo.
Pur dedicandosi alla ricerca filologica, De Rossi eccelse anche come bibliografo e studioso della tipografia ebraica, settore ancora poco esplorato all’epoca. Analizzò incunaboli e cinquecentine, approfondendo le ricerche sulle botteghe artigianali di Ferrara, Sabbioneta e Cremona, centri chiave per la stampa ebraica in Italia. La sua passione lo portò a creare una straordinaria collezione di manoscritti e antiche edizioni, frutto di una fitta rete di contatti con eruditi, librai e collezionisti di tutta Europa.
Nel 1778, intraprese un viaggio a Roma per raccogliere materiale per il suo lavoro sulle Varianti ebraiche, con l’obiettivo di superare l’opera di Benjamin Kennicott. Durante quel soggiorno, grazie all’amico Ignazio De Giovanni, poté esaminare preziosi manoscritti, tra cui la Bibbia rabbinica di papa Pio VI e un codice samaritano della Biblioteca Barberini. Dopo anni di studio e sacrifici, decise infine di catalogare la sua vasta collezione, pubblicando tra il 1803 e il 1804 tre volumi nei quali elencava 1.377 manoscritti ebraici e 194 in altre lingue.
Ormai anziano, con problemi alla vista, oltre che deluso dalla politica dei nuovi dominatori, cercò di cedere la sua collezione per garantirsi stabilità economica. Inizialmente avviò trattative con Gaetano Marini della Biblioteca Vaticana, ma l’occupazione francese dello Stato Pontificio bloccò la trattativa. Tentò quindi altre strade, ma senza successo.
Nel 1816, la duchessa Maria Luigia d’Asburgo, appena giunta in città, su consiglio del bibliotecario Angelo Pezzana, acquistò infine la collezione per donarla alla Regia Biblioteca Parmense, investendo una somma considerevole per valorizzare il patrimonio culturale del ducato. L’accordo fu formalizzato il 13 giugno 1816 per 100mila franchi, con un vitalizio di 3mila franchi per De Rossi.
La collezione comprendeva 1.624 manoscritti, di cui 1.430 ebraici, molti miniati, e 194 in altre lingue (latino, greco, spagnolo, siriaco, arabo, persiano, turco, armeno, russo, polacco e yiddish). Includeva inoltre 1.464 stampati ebraici, tra cui 70 incunaboli, quali il Commentum in Pentatheuchum di Salomone Isaacide (Rashi), edizioni rare della famiglia Soncino, un salterio annotato da Martin Lutero e una Misnah copiata a Otranto.
L’arricchimento della Biblioteca Palatina proseguì negli anni successivi. Nel 1828 si aggiunsero 19 manoscritti appartenuti a Pietro Vitali, mentre nel 1846 Maria Luigia, a pochi mesi dalla morte, acquistò 111 codici dal mercante Moïse Beniamino Foà, recuperati da Marcus Biseliches e Salomon Gottlieb Stern. L’orientalista Pietro Perreau, direttore dell’Istituto, perfezionò il catalogo nel 1864 e nel 1880 pubblicò un volume sui codici non descritti da De Rossi, consolidando così il prestigio della biblioteca come centro di ricerche ebraiche e orientali di fama internazionale.