Noah Charney
Leggi i suoi articoliPochi dipinti hanno incuriosito gli storici dell’arte quanto «Il cavaliere polacco» (1655 ca), una delle opere più celebri di Rembrandt. La tela, conservata presso la Frick Collection di New York, così come il soggetto e l’attribuzione sono stati oggetto di dibattito per decenni. L’opera raffigura un giovane uomo in tenuta militare che attraversa un paesaggio oscuro e misterioso e la cui identità ed espressione sono enigmatiche quanto il ruolo dell’artista nella sua creazione. Ora, un’importante società di autenticazioni, la Art Recognition di Zurigo, ha analizzato il dipinto utilizzando il suo software dotato di Intelligenza Artificiale (IA) per verificare la portata del coinvolgimento di Rembrandt nella tela.
«Il cavaliere polacco», come molte opere del maestro olandese, è stato coinvolto nell’atmosfera febbrile creata dal Rembrandt Research Project (Rrp) durante la sua fase più prescrittiva, quando il suo comitato di esperti, a un certo punto, ridusse da 650 a 265 la lista delle opere «autografe» dell’artista. Un rapporto del 1984 dell’allora presidente del Rrp, Josua Bruyn, secondo cui «Il cavaliere polacco» «mostra(va) sorprendenti affinità, per non dire altro, con i primi lavori di Willem Drost, assistente di Rembrandt» indusse poi alcuni esperti di Rembrandt a credere che il Rrp avesse rimosso il dipinto dal suo catalogo. Falso.
Un «piccolo disastro»
La pubblicazione dell’articolo e i miti che ne sono derivati sono stati un «piccolo disastro», ha scritto nel 2014 lo studioso di Rembrandt Ernst van de Wetering nel volume conclusivo del Rrp Corpus catalogue raisonné: «Tanto più che anche altri specialisti di Rembrandt hanno iniziato a dubitare dell’autenticità del dipinto», concentrandosi sul misterioso soggetto del quadro (si tratta del ritratto di un vero aristocratico polacco o di una versione olandese del cavaliere polacco in un periodo in cui la guerra della Polonia con la Svezia era di grande interesse per i partner commerciali olandesi?) e sulle condizioni dell’opera dopo il restauro. «Una volta instillati, scrive Wetering, questi dubbi si sono radicati, anche se nel 1997 è emerso in modo attendibile che il Rrp considerava il dipinto un Rembrandt autentico».
Dopo essere stato sin dagli anni Novanta del Settecento nelle collezioni reali polacche, oltre che in altre raccolte aristocratiche, il quadro era stato acquistato nel 1910 dall’industriale statunitense Henry Clay Frick come un Rembrandt di particolare qualità, per poi diventare una delle attrazioni principali della Frick Collection per più di un secolo. Sulla scia dell’articolo di Bruyn del 1984, alcuni esperti hanno suggerito che parti del dipinto, se non l’intera composizione, siano state eseguite da uno degli studenti di Rembrandt, Willem Drost candidato principale. Altri si sono concentrati sulle anomalie stilistiche del dipinto. Il volto del cavaliere, pur essendo reso finemente, manca della complessità espressiva tipica dei ritratti di Rembrandt. Anche il paesaggio è stato criticato perché privo della profondità che caratterizza altre opere del pittore. Alcuni hanno notato che la pennellata in alcune aree non è coerente con la tecnica abituale di Rembrandt, in particolare nel trattamento del cavallo e degli abiti del cavaliere.
I sostenitori dell’attribuzione a Rembrandt sostengono invece che i punti di forza del dipinto superano le sue anomalie. Sottolineano in particolare la posa del cavaliere, il sottile gioco di luce sull’armatura e la tensione emotiva che pervade la scena, caratteristiche che si allineano alla maestria di Rembrandt nel rendere emozioni ed espressività. È anche possibile, sostengono, che il dipinto sia una collaborazione tra Rembrandt e la sua bottega. Altri hanno ipotizzato che Rembrandt abbia iniziato l’opera ma l’abbia lasciata incompiuta, e che essa sia poi stata completata da un seguace. Gli elementi apparentemente incompiuti includono i quarti posteriori, la coda e le zampe del cavallo, le mani del cavaliere e porzioni di paesaggio.
Molti dei più dubbiosi potrebbero essere motivati dal curioso trattamento delle zampe del cavallo sul terreno. Ma, come ha sottolineato Wetering nel volume finale del Corpus, «le due zampe sono state in realtà dipinte da un restauratore successivo, e in modo non del tutto competente. Hanno dovuto essere ridipinte perché una striscia del dipinto era stata tagliata dalla parte inferiore e sostituita con una nuova porzione di tela» (i 10 centimetri inferiori dell’opera erano stati infatti danneggiati nell’Ottocento, rendendo necessaria l’aggiunta della striscia e una ridipintura). Nel quinto volume del Corpus (pubblicato nel 2010), il dipinto viene sottoposto a un’analisi approfondita, anche sull’intervento di restauro ottocentesco e su quello successivo svolto nel 1950 sulla stessa area da William Suhr della Frick. Nel volume del 2014 il parere finale di Rrp sul dipinto recita: «Rembrandt “Il cavaliere polacco” (parzialmente incompiuto, in alcune parti completato da una mano successiva)».
Il potere dell’Intelligenza Artificiale
Art Recognition è l’azienda di maggior successo tra quelle che sfruttano le potenzialità dell’IA per fornire nuovi strumenti di analisi delle opere d’arte. Fondata nel 2019 da Carina Popovici, un’ex fisica con un dottorato in Scienze computazionali, Art Recognition ha sviluppato algoritmi di Intelligenza Artificiale per analizzare e valutare l’autenticità dei dipinti, offrendo un approccio più guidato dai «dati» rispetto alla tradizionale attività di connoisseurship. La ricerca sulla provenienza contribuisce ovviamente al lavoro di autenticazione, così come i test scientifici che utilizzano la spettroscopia a infrarossi o i raggi X. Combinando le sue competenze tecniche con la passione per l’arte, Popovici ha creato uno strumento di Intelligenza Artificiale utile agli storici dell’arte, ai collezionisti e ai musei, utilizzabile anche a distanza poiché si basa su immagini digitali ad alta risoluzione, e tiene a sottolineare che i sistemi di Intelligenza Artificiale come il suo «non potranno mai sostituire l’occhio umano esperto, ma possono essere un prezioso strumento analitico aggiuntivo».
Art Recognition è già stato utilizzato per sostenere le richieste di autenticazione di opere di maestri come Raffaello e Van Dyck. Il suo sistema è progettato per rilevare i più minuti schemi nella pennellata e nella composizione, fornendo un’integrazione al giudizio umano. Popovici spiega come funziona: «Addestriamo l’IA su fotografie di tutte le opere d’arte conosciute dell’artista oggetto dell’indagine, nonché su esempi “negativi” come immagini di falsi noti, opere create da seguaci, allievi, scuole, circoli ecc. E persino arte digitale prodotta da un’IA generativa nello stile di quell’artista. Da tutte queste immagini, l’IA impara le caratteristiche principali dell’artista e a distinguere l’arte autentica da quella non autentica. La caratteristica più importante è la pennellata, ma l’IA apprende anche altre caratteristiche: la posizione dei margini per distinguere le strutture degli oggetti tra loro, i cromatismi, gli elementi di qualità della composizione. Una volta completato l’addestramento, il programma confronta le caratteristiche apprese con quelle identificate sull’immagine di un’opera d’arte. E sulla base di questo confronto, l’IA restituisce la probabilità di autenticità dell’opera d’arte indagata».
Due volte restaurato nel XIX secolo
«Il cavaliere polacco» è più difficile da analizzare rispetto alla maggior parte delle opere, a causa della striscia di lino aggiunta alla base e delle condizioni fisiche non ottimali del dipinto, che era stato restaurato nel 1833 e nel 1877 e pulito nel 1898 e nel 1950. Il software di Art Recognition è stato addestrato a capire che cosa cercare e da che cosa non farsi ingannare e, una volta che le immagini ad alta risoluzione sono state analizzate attraverso il modello IA, i risultati si sono rivelati molto istruttivi. Indicano ad esempio che la mano dei restauratori è visibile negli zoccoli e nelle parti inferiori delle quattro zampe del cavallo, nonché nel terreno su cui poggiano: si tratta quindi di interventi ottocenteschi e di elementi che il software ha dimostrato non essere autografi di Rembrandt.
Le restanti sezioni del dipinto sono invece di Rembrandt, secondo il modello di riconoscimento, con una probabilità che va dal 69% all’83%. Art Recognition analizza sezione per sezione e considera qualsiasi probabilità superiore al 60% come una prova convincente che la sezione in analisi è dell’artista in questione. La differenza tra le sezioni che hanno una probabilità del 69% di essere di Rembrandt e quelle con una probabilità dell’83% è dovuta al coinvolgimento della bottega dell’artista, caratteristica dell’epoca, nell’aiutare il maestro a completare un dipinto.
L’analisi di Art Recognition è dunque in linea con i giudizi espressi da Wetering nei volumi del Rrp Corpus del 2010 e del 2014. La storia della ricezione del dipinto e il modo in cui la tecnologia è stata utilizzata per affrontarla sono dunque un motivo in più, oltre alla prossima riapertura della storica sede della Frick Collection sulla Fifth Avenue nell’aprile del 2025, affinché i visitatori entrino in contatto con la collezione e con il misterioso cavaliere pallido di Rembrandt.