Beatrice Cumino, Riccardo Deni
Leggi i suoi articoliLa Maison Ruinart, la più antica casa di Champagne, fondata nel 1729 da Nicolas Ruinart, ha fatto della committenza artistica un veicolo di innovazione, impegnandosi a commissionare a celebri artisti contemporanei la reinterpretazione del proprio patrimonio, ormai un asset aziendale consolidato. Ne abbiamo parlato con Frédéric Dufour, presidente e ceo della Maison Ruinart che ha raccontato al «Giornale dell’Arte» la tradizione di committenza artistica della Maison e il progetto «Carte Blanche».
La Maison Ruinart è la più antica casa di Champagne, con quasi 3 secoli di storia. L’arte ne ha sempre fatto parte?
La famiglia Ruinart ha iniziato a collezionare molto presto, dalla ritrattistica ai bronzi del Rinascimento, lo testimoniano documenti risalenti al XIX secolo. Nel 1896 André Ruinart incaricò Alfons Mucha, un giovane artista ceco appena arrivato a Parigi, di creare un’opera d’arte che sarebbe diventata la prima pubblicità per una marca di champagne. Da allora la Maison ha intrattenuto rapporti con il mondo dell’arte. Negli anni Novanta abbiamo iniziato a collaborare con fiere e gallerie d’arte e negli anni Duemila sono ricomparse nuove commissioni.
Dal 2008 con il progetto «Carte Blanche» commissionate ad artisti contemporanei l’interpretazione del patrimonio aziendale. Perché?
Il programma «Carte Blanche» è iniziato nel 2008 con l’idea di commissionare ogni anno opere d’arte a un artista diverso per dare la propria interpretazione della storia, dei valori, del know-how o delle persone della Maison. Ognuno di loro offre una visione propria. Credo che gli artisti possano davvero aiutare una Maison di champagne antica di tre secoli come la nostra a rimanere attuale e contemporanea.
Può raccontarci essenza e sviluppo di questo progetto?
Ci concentriamo su artisti che colleghino l’uomo alla natura: stiamo lavorando per prenderci cura del suolo, della biodiversità, del clima e del pianeta. Abbiamo inoltre aumentato la visibilità di «Carte Blanche», in modo che gli artisti che scegliamo e i temi che sollevano abbiano la giusta visibilità e attenzione da parte del pubblico.
L’ultima collaborazione è con Eva Jospin.
Abbiamo seguito le opere di Eva Jospin per molti anni e nel 2022 l’abbiamo invitata nella regione dello Champagne per una residenza artistica. Ha visitato le cantine, i vigneti, la cattedrale di Reims e ha incontrato le persone coinvolte nella produzione di Ruinart. Ha poi realizzato le opere d’arte «Carte Blanche» che esporremo in tutto il mondo nel 2023. Crediamo che le sue sculture di cartone si sposino bene con Ruinart, perché partono da un materiale molto semplice trasformandolo in una straordinaria creazione umana che celebra la natura.
Le opere degli artisti confluiscono nella collezione aziendale?
Le opere che commissioniamo le esponiamo durante l’anno in diversi eventi artistici, da New York a Tokyo. Poi entrano a far parte della nostra collezione. Al momento sono esposte nella Maison oltre 250 opere, disponibili anche per prestiti espositivi.
Dal punto di vista economico questa attività è un investimento che va capitalizzato o fa parte dei costi di comunicazione? A quanto ammonta l’investimento in «Carte Blanche» e nell’arte in generale rispetto al vostro fatturato?
Di solito non forniamo cifre su Ruinart, ma l’arte è diventata di gran lunga il nostro primo investimento in termini di budget e marketing, individuando una direzione specifica nell’arte e nella cultura.
Che cosa ha «imparato» Ruinart su se stessa attraverso gli artisti e come viene recepita questa iniziativa da chi lavora nell’azienda?
Gli artisti apportano uno sguardo totalmente nuovo alla nostra storia, cambiando la nostra visione del mondo e i nostri legami reciproci. Quando si dà loro accesso a un nuovo mondo, come una casa di champagne, tutto ciò che vedono viene filtrato dalla loro arte. Basti pensare a David Shrigley, al modo in cui ha preso nota di molte parole e frasi che usiamo, o a Jeppe Hein, al suo desiderio di creare esperienze partecipate intorno ai diversi sensi. A Ruinart invitiamo artisti che si incontrino e che interagiscano con tutti i membri del nostro team: le persone impiegate nella vigna, nella produzione, nella vinificazione, nel marketing, nell’ospitalità, ecc. Quando Jeppe Hein è arrivato ha creato un’esperienza unica nel picnic annuale di tutti i dipendenti, in modo che oguno partecipasse alla creazione dell’opera d’arte, nove mesi prima del lancio ufficiale. Lo stesso vale per Liu Bolin, che ha incluso molte persone dei team di produzione e di enologia da rappresentare con la fotografia. Credo che questo crei un vero senso di appartenenza e che i team siano molto sensibili all’arte.
Esistono percorsi di formazione culturale per i dipendenti? Il progetto è vissuto internamente come una sorta di welfare o esiste in modo più indipendente?
Cerchiamo di inserire l’arte in ogni progetto, in modo che anche i nostri dipendenti possano viverla nella quotidianità. L’arte è presente durante tutti gli eventi interni, anche quando dobbiamo creare un telone per i lavori di costruzione, invitiamo un artista.
Progetti futuri? Il formato rimarrà lo stesso?
Il concetto generale rimarrà lo stesso: un forte legame tra arte e natura; ma ci saranno dei cambiamenti a partire dal prossimo anno e per il 2029, in occasione del trecentesimo anniversario.
Quali sono i rapporti e i vantaggi reciproci tra Ruinart con le fiere d’arte come Miart o Art Basel?
Collaboriamo con le fiere d’arte da oltre 25 anni, lavoriamo fianco a fianco e partecipiamo a tutte. Lo champagne è un complemento naturale degli eventi artistici più qualitativi e il pubblico che vi partecipa preferisce Ruinart. Ma non si tratta solo del prodotto, le fiere e i festival d’arte sono piattaforme in cui possiamo esporre le nostre opere «Carte Blanche» per raggiungere un pubblico vasto e consapevole. Inoltre, gli eventi d’arte sono il luogo in cui scopriamo gli artisti internazionali emergenti a cui ci rivolgeremo in futuro per rendere il marchio sempre al primo posto.