Tony Salamé

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Tony Salamé

Salamé: libanese, colleziona arte americana e ama l’Italia

Il collezionista mediorientale, che espone lavori di artisti giovani nel suo regno del lusso a Beirut, e fino al 14 luglio in Palazzo Barberini a Roma, racconta come è nata la sua passione per l’arte

Di Tony Salamé si sa che ha fondato un impero del lusso portando i principali marchi della moda mondiale a Beirut e che nel gigantesco edificio che nel 2015 ha fatto costruire a questo scopo nel capoluogo libanese dall’architetto David Adjaye ha sede la Aïshti Foundation, in cui espone la propria collezione di arte contemporanea. Ma perché fino al 14 luglio nella mostra «Effetto notte» è esposta in Palazzo Barberini a Roma una selezione di quelle opere, esempi di quello che il curatore Massimiliano Gioni definisce il Nuovo Realismo americano prodotti nell’ultimo decennio in un’America per la quale «realtà e di verità rischiano di diventare una questione di sopravvivenza»?

Abbiamo rivolto qualche domanda a Tony Salamé per ricostruire il suo rapporto con il nostro Paese, per capire come è nato il suo amore per l’Italia, la sua cultura, la sua arte e la sua cucina.

Vorrei parlare di lei come persona e come collezionista. Mi racconti la sua storia.
Io sono nato in una famiglia cristiana libanese nel 1967 e la guerra è iniziata nel 1975. Da ragazzo ho vissuto con la guerra, ho studiato a Beirut e poi in Francia dove mi avevano mandato perché diventassi medico, ma a me non piaceva e sono tornato a Beirut. A 18 anni ho fatto il mio primo viaggio a Milano per importare abbigliamento da vendere ai miei amici. Mi sono sempre piaciuti l’Italia e il cibo italiano e quindi ho trovato questo modo per andarci spesso. Da piccolo collezionavo timbri, compravo tappeti, ma è in Italia che ho iniziato a comprare arte antica e antiquariato, arredi dell’Ottocento, oggetti decorativi, finché il mio amico Dino Facchini mi ha convinto dicendomi: «devi comprare arte seria». Così nel 2000 ho iniziato con l’Arte povera, Burri, Fontana, che pagavo a rate. Tutti i soldi che guadagnavo li mettevo da parte per pagare le rate dei miei acquisti di opere d’arte. Nel 2006 sono andato per la prima volta a Basilea.

E l’arte continua a essere la sua passione. A quante opere ammonta attualmente la sua collezione?
È un’ossessione, non è più una passione: possiedo oltre 4mila opere, la maggior parte delle quali di arte americana perché la scena artistica negli Stati Uniti è molto più effervescente, più attiva.

Colleziona anche arte libanese?
Sì, ma arte libanese contemporanea.

L’idea della Fondazione è nata quando la sua raccolta è cresciuta troppo per essere una collezione privata?
No, è nata prima. Ho iniziato a collezionare arte già con l’idea di una fondazione e ho avviato un ricco programma di attività culturali e di collaborazioni con musei di tutto il mondo, ma il Covid e la guerra in Medio Oriente mi hanno portato a mettere in mostra le mie opere all’estero perché la gente ha paura di venire in Libano, mentre a Roma non solo è venuta molta gente dal Libano, ma da ogni parte del mondo.

Dunque l’esposizione in Palazzo Barberini è un’occasione per far conoscere la collezione fuori dal suo Paese.
Anche l’Italia è il mio Paese: io sono cresciuto qui, ho la cittadinanza italiana e la mia famiglia vive in Italia dal 2007 per cui è mio dovere partecipare alla vita culturale italiana e condividere la mia collezione.

I suoi figli sono nati in Italia?
No ma sono italiani, anche se mia figlia ha studiato in America e lavora a Londra e uno dei maschi studia business a Montreal. Gli altri due studiano a Beirut e quando hanno visto la mostra allestita in Palazzo Barberini mi hanno detto: «È stato bellissimo venire a Roma perché abbiamo visto che cosa sei capace di fare anche fuori dal Libano».

Quando acquista le opere lo fa tenendo conto anche del fatto che possano essere un investimento economico?
No, penso alla fondazione, ma soprattutto al mio ruolo che sento essere quello di dare un supporto agli artisti giovani e alle gallerie giovani.

Compra più in fiera o più in galleria o in asta?
Compro quasi tutto in galleria; in asta e in fiera molto poco perché frequentare le gallerie fa parte dell’esperienza, del viaggio. 

In America frequenta anche gli studi degli artisti?
Sì, mi piace molto vedere gli artisti all’opera, conoscerli nel loro contesto.

Compra da solo o si avvale di un consulente?
Compro da solo, ma quando Massimiliano Gioni riordina le mie opere, le studia e le mette insieme come per questa mostra sono contento perché mi sembra di aver fatto un bel lavoro.

Lei ha casa a Milano. Per quale motivo ha scelto Roma per la sua prima mostra?
Sono stato a Roma per la prima volta a 13 anni e l’esperienza dell’arte che invadeva piazze, chiese e palazzi mi ha per sempre cambiato la vita. Tornare a Roma questa volta in compagnia di tanti amici artisti è un sogno che si realizza e che è reso ancor più speciale dal dialogo unico tra storia e arte contemporanea nella cornice di Palazzo Barberini.

Palazzo Barberini è noto per le sue decorazioni barocche e settecentesche (l’esposizione si estende al secondo piano, solitamente chiuso, con eccentriche decorazioni rococò) e perché ospita la Gallerie Nazionali d’Arte Antica. Come mai una mostra di arte contemporanea in una sede con una connotazione antica?
La mostra invita il pubblico a vedere l’arte contemporanea come uno strumento di conoscenza e scambio capace di collegare storie e culture diverse, celebrando le infinite possibilità che nascono da questi incontri.

Palazzo Barberini conserva la più ampia collezione di caravaggeschi, i pittori che sulla scia della rivoluzionaria rappresentazione della realtà operata da Caravaggio portarono avanti la ricerca del naturalismo. Anche la pittura americana contemporanea persegue il naturalismo?
Nella scena americana degli ultimi decenni operano molti artisti che si confrontano con la questione del realismo e della rappresentazione della verità.

Quindi Massimiliano Gioni ha selezionato tra le opere raccolte da lei e da sua moglie Elham quelle di giovani americani che stanno sperimentando nuovi approcci alla figurazione?
Sì, mia moglie e io abbiamo concepito questo progetto con Massimiliano Gioni, con cui collaboriamo da dieci anni e con cui condividiamo tante scoperte, incontri e studio visit, ma non solo: la mostra è nata grazie a una felice intuizione di Pepi Marchetti Franchi e si è sviluppata con la partecipazione di Flaminia Gennari Santori, ex direttrice delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica, che con grande passione ha sottolineato quanto «la macchina di propaganda e innovazione artistica messa in atto da Urbano VIII in Palazzo Barberini» abbia affinità con l’uso politico della cultura e la pervasività di comunicazione e propaganda della scena artistica dell’America contemporanea. Si è poi aggiunto anche il supporto di Thomas Clement Salomon che le è succeduto alla direzione del museo.

Una veduta della mostra «Effetto notte» con opere del collezionista Tony Salamé a Palazzo Barberini, Roma

Barbara Antonetto, 18 giugno 2024 | © Riproduzione riservata

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