Gloria Gatti
Leggi i suoi articoliSe sia stato San Matteo, l’esattore, ad aver caravaggescamente ispirato il neo sottosegretario Sgarbi o il timore che i galleristi italiani stremati scatenassero una nuova guerra dell’oppio, mai lo sapremo. Certo è che l’abbassamento dell’aliquota Iva al 5,5% non è solo necessario ma doveroso per proteggere il mercato italiano dalla anticoncorrenziale sperequazione fiscale tra i Paesi europei.
Se all’annuncio seguirà una concreta attuazione in virtù della direttiva Ue 2022/542 del Consiglio recante modifiche delle direttive 2006/112/Ce e (Ue) 2020/285 per quanto riguarda le aliquote dell’imposta sul valore aggiunto, che entrerà in vigore il primo gennaio 2025, che consente aliquote ridotte per perseguire obiettivi di interesse generale e proprio «mira a salvaguardare il funzionamento del mercato interno e a evitare distorsioni della concorrenza», l’Italia, quanto meno nel mercato dell’arte contemporanea e moderna (fuori campo notifica), avrà una chance per recuperare il terreno perduto, a beneficio del consumatore finale, e per perseguire obiettivi di interesse generale.
In Francia, dove è già da tempo applicata l’aliquota del 5,5%, dopo la Brexit, nel 2021 le vendite nel settore dell’arte sono passate dal 3% (nel 2001) al 7% e costituiscono la metà del mercato dell’Ue (dati di Art Economics) e proprio lì il colosso ArtBasel ha da poco inaugurato Paris+.
In un mercato globalizzato, infatti, gli acquisti delle opere d’arte non si fanno più per passione nella grigia Basilea dove Ernst Beyeler aveva trasformato una libreria in galleria per puro campanilismo, ma nel luogo in cui il prezzo finale (incluse le imposte) è più basso.
Attendiamo con fiducia la prossima folgorazione per la riforma della «notifica».
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