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Sgarbi recita Sgarbi che recita Caravaggio

Sgarbi recita Sgarbi che recita Caravaggio

Pietro Carriglio

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Agli italiani piace l’arte raccontata. Piace Caravaggio. E piace che lo racconti Sgarbi. Tre ore senza intervallo, ad ascoltare lui da solo sul palcoscenico. Questo dimostra il successo di «Caravaggio», spettacolo di e con Vittorio Sgarbi (organizzato da Promo Music in collaborazione con La Versiliana Festival), con musiche composte da Valentino Corvino, videoproiezioni di Tommaso Arosio e regia di Angelo Generali. Dopo il debutto, il 16 luglio, alla Versiliana, lo spettacolo è andato in tournée in alcuni dei principali teatri italiani e si concluderà il 16 aprile. Nelle 23 rappresentazioni finora andate in scena (da Villa Castelnuovo a Palermo alla serie di 5 al Teatro Carcano di Milano, dal Teatro Colosseo di Torino al Teatro Vittoria di Roma), sono stati ben 18mila gli spettatori. Sempre tutto esaurito e sempre tutti paganti (biglietti oltre 20 euro). 

Sgarbi è sempre attore, come lo era anche Longhi, ma Longhi apparteneva alla vecchia scuola dei Novelli, dei Ricci e dei Ninchi. Longhi era un attore che si trasformava in «scrittoresublime», tra i più grandi del Novecento; Sgarbi è un «grandescrittore», diciamolo pure senza cautele e reticenze, che si traveste da attore. Lo fa con una leggerezza che gli è naturale e che sembra abbia imparato con lungo studio, lazzi e parolacce comprese, da Mozart.

Ho più di cinquant’anni di teatro (non contiamoli). Sgarbi è un attore controllatissimo, ipercritico; tanti anni fa, facendo felice Strehler, si sarebbe detto brechtiano: Sgarbi recita Sgarbi che recita, da qui un controllo del dettato oratorio. Usa la filologia, la vivisezione della parola, l’emozione acrobatica, la sorpresa, come non sono più usate, strumenti ormai desueti, che Sgarbi tratta nella sua recita di professore che detesta i professori per divertirsi. Questo è il suo grande inimitabile gioco. Non vuole insegnare niente a nessuno, è un egoista geloso del suo sapere. Volentieri inventerebbe pittori, quadri ed età dell’arte mai esistiti per un sapere inesplorato e a tutti precluso. Da attore cosciente sa la parte. E se qualcuno impara da Sgarbi a fare Sgarbi? Non è possibile. La sola consolazione che è riservata alla effimera arte dell’attore è che l’attore, ogni attore, ha una sua fisicità. Puoi rifare, come è successo a Michelangelo per imbrogliare i Medici, un marmo antico, ma nessuno può rifare Sgarbi. Ecco perché Sgarbi alla cattedra preferisce il palcoscenico.

Oltre la mezzanotte, alcuni anni fa (il 18 luglio del 2010), a Villino Ludovisi ricordò Caravaggio nelle ore della sua morte a Porto Ercole. In quel notturno Sgarbi accese le fiamme, il fuoco della «Santa Agata» a Cremona, un quadro che Longhi colloca alle origini della pittura italiana, e accompagnato dal buio della notte, ricordò i neri di Burri nella «Santa Lucia» di Caravaggio: un grande muro che occupa i tre quarti del quadro sovrasta il corpo inanimato della Santa, un muro nero segnato da piccole croste, piccole firme che danno un senso al tempo che corre. Caravaggio è già nei primordi della pittura italiana ed è nelle conclusioni oltre il Novecento. Perché tanta meraviglia, allora, se Sgarbi piuttosto che confabulare con i professori si apparta con Prospero e Don Chisciotte per raccontarci quello che si sono detti? 

 

Pietro CarriglioFondatore e direttore per quasi quarant’anni del Teatro Biondo Stabile di Palermo, ha diretto il Teatro di Roma, è stato dirigente e poi sovraintendente del Teatro Massimo di Palermo, regista e scenografo di spettacoli che hanno suscitato una vasta eco 

 

Pietro Carriglio, 19 febbraio 2016 | © Riproduzione riservata

Sgarbi recita Sgarbi che recita Caravaggio | Pietro Carriglio

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