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Ben Lewis
Leggi i suoi articoliIl mercato dell’arte sembra in affanno in questi giorni e mi sono chiesto se crollerà come nel 2008.
Ci sono state diverse cattive notizie. La veterana consulente d’arte newyorkese Lisa Schiff ha chiuso la sua attività con almeno 5 milioni di dollari di debiti, la galleria londinese di Simon Lee a Mayfair è stata messa in amministrazione controllata, l’asta di Christie’s di Arte moderna e contemporanea di giugno ha registrato un calo del 66% rispetto all’anno scorso. Ci sono così tante storie di opere di artisti favoriti dal mercato, come Jean-Michel Basquiat e Gerhard Richter, andate invendute, che costituiscono una prova indiziaria. E, non c’è da sorprendersi, il mercato degli Nft è andato a rotoli.
L’ultimo rapporto di Art Basel/Ubs sul mercato globale dell’arte diceva che stava iniziando a «raffreddarsi». Ma raffreddarsi è ben diverso dal crollare. Gli ottimisti avanzano scuse per la lentezza del mercato odierno che riecheggiano quelle sentite nel 2008. In primo luogo, ci sono le motivazioni del mercato dell’arte: il mercato deve subire una correzione (Damien Hirst allora, gli Nft oggi), mancano opere di prima livello e le vendite private sono ancora molto attive. In secondo luogo, ci sono le motivazioni economiche di contesto: gli Uhnwi (ultra high net worth individuals, ovvero i miliardari) sono così ricchi da essere immuni alle flessioni dell’economia e, se i tassi di interesse salgono, avranno ancora più soldi.
Queste controargomentazioni hanno un fondo di verità. Il crollo del mercato dell’arte del 2008 è stato causato da uno shock economico, proprio come i crolli del mercato dell’arte degli anni Trenta e Ottanta. Oggi abbiamo i venti economici contrari della ripresa postpandemia e della guerra in Ucraina, ma non sono di dimensioni paragonabili. Il fatto che le opere di Basquiat, Willem de Kooning, Matthew Barney ed Elizabeth Peyton non raggiungano le loro riserve all’asta o vadano invendute alle fiere d’arte non significa che l’intero mercato dell’arte stia crollando.
Ricordo come il mercato si sia impennato durante la crisi dei mutui subprime, fino all’ultima grande asta di «Beautiful Inside My Head Forever» di Damien Hirst nel settembre 2008, proprio il giorno del crollo di Lehman Brothers. Le aste delle tre grandi case in ottobre e novembre di quell’anno hanno registrato un calo del 50% dei lotti venduti e dei totali previsti, e poi in febbraio un calo del 75%.
Non c’è ancora una statistica di questo tipo. Tuttavia, sento che il momento si avvicina. La mia convinzione si basa su un errore che ho commesso nel commento finale del mio documentario del 2008 «The Great Contemporary Art Bubble». Allora dissi piuttosto audacemente che «la bolla dell’arte contemporanea è stata l’ultima a scoppiare, ma quando è successo ha fatto un gran botto... Il mondo dell’arte pensa ancora che le cose torneranno presto alla normalità, io però ne dubito».
Soldi facili
Il mercato dell’arte è ritornato, un anno o due dopo, più grande e più frizzante che mai. I motivi sono stati il denaro facile del «quantitative easing» (Qe, espressione inglese per «alleggerimento quantitativo». Si tratta di una politica messa in atto dalle Banche centrali per «creare moneta» mediante l’acquisto di titoli di Stato o altre obbligazioni sul mercato, Ndr) e i bassi tassi di interesse, la mancanza di regolamentazione, che ha permesso di nascondere la ricchezza sotto forma di arte in entità offshore, insieme ai nuovi mercati dell’arte in crescita nel Golfo e al relativo declino del valore di altri beni, tutti fattori che hanno più che compensato gli aspetti economici negativi.
Oggi ci sono ancora i mercati emergenti a sostenere la domanda, nel Golfo, in Corea del Sud, in India e in Africa, ma gli altri fattori sono stati gravemente indeboliti dai cambiamenti della politica economica e da una migliore regolamentazione. Nelle economie occidentali il Qe viene gradualmente eliminato mentre il riciclaggio di denaro con l’arte è stato reso più difficile dalle normative dell’Unione Europea e dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse), dall’ampliamento del campo di applicazione del Bank Secrecy Act degli Stati Uniti e dal nuovo attivismo delle agenzie americane e del Congresso nell'indagare sull’uso dell’arte per il contrasto alle sanzioni.
Questo spiega la lenta deflazione del mercato negli ultimi due anni. Le cattive notizie stanno affondando lentamente, ma credo che ci sarà un punto di svolta. I boom si trasformano in crisi quando il calo di valore porta a una contagiosa perdita di fiducia. Comunque potrei sbagliarmi.

Si profila una catastrofe per il mercato dell’arte? Particolare di «Destruction» di Thomas Cole, dalla serie The Course of Empire (1836)