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The Swatch Art Peace Hotel

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The Swatch Art Peace Hotel

Swatch Art Peace Hotel, Shanghai. Ritratto di un ecosistema artistico

In mostra la residenza 2025 nell’edificio storico, simbolo del Bund, dove Swatch ha creato un laboratorio culturale unico: una residenza d’artista che non produce eventi ma processi, che colleziona tracce e connessioni. Ventisette artisti internazionali hanno trasformato stanze e corridoi in un parco giochi creativo, fondato su tempo, libertà e condivisione

Jenny Dogliani

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All’angolo tra Nanjing Road e il Bund, dove la Shanghai coloniale cede il passo alla metropoli futura, c’è un edificio che da più di un secolo osserva il fiume e i suoi cambiamenti. Un tempo Palace Hotel, poi Peace Hotel South Building, oggi lo Swatch Art Peace Hotel (SAPH) ospita una delle esperienze culturali più radicali e longeve nate da una grande azienda internazionale. Non è un museo, non è una galleria e, nonostante il nome, non è neanche un hotel. È più simile a un ecosistema, un luogo in cui gli artisti abitano, lavorano, discutono, condividono idee e progetti, trasformano la città e vengono da essa trasformati. Un laboratorio permanente in un’epoca di eventi effimeri, una casa in cui gli artisti abitano temporaneamente, residenza dopo residenze, dando vita a una geografia internazionale di storie, idee, opere. L’edificio, restaurato con un’attenzione maniacale ai dettagli architettonici originali, conserva la sua identità storica, ma la riconsegna al presente attraverso una funzione diversa. Le facciate ottocentesche convivono con atelier contemporanei, le scale diventano percorsi espositivi informali, gli spazi comuni sono veri hub di idee, dove la cena diventa una discussione estetica o un incontro tra culture diverse. Swatch, l’iconica azienda svizzera di orologi da polso fondata nel 1983, ha sempre fatto del dialogo con l’arte un suo tratto identitario, ma qui il modello è insolito: non commissiona, non dirige, non orienta, offre tempo, spazio e contesto. La residenza è assegnata ad artisti provenienti da ogni parte del mondo. Non c’è un tema obbligatorio a cui attenersi, non c’è una linea curatoriale da soddisfare. In cambio, l’artista lascia al termine del soggiorno una «traccia»: un’opera o un documento che entra a far parte dell’archivio del SAPH, accessibile anche nel museo virtuale che raccoglie centinaia di lavori generati qui, in questa intersezione tra Oriente e Occidente, tra storia coloniale e ipercontemporaneità cinese.

The Swatch Art Peace Hotel

The Swatch Art Peace Hotel

Tra gli ultimi progetti di questo dispositivo, la mostra «A Swatch Art Playground», che fino al 12 dicembre trasformato l’intero edificio in un ambiente esperienziale. Non un’esposizione tradizionale, il SAPH non funziona secondo logiche tradizionali. Piuttosto un modo per rendere visibile ciò che per mesi è accaduto nelle stanze, nei corridoi, negli atelier. Il concetto di «playground» (parco giochi) non vuole rimandare a un’idea infantile di gioco, ma all’idea di un luogo in cui sperimentare liberamente, dove la creazione non è un atto solitario ma un’azione collettiva, stratificata, inattesa. Quando si percorrevano i corridoi della mostra, si ha l’impressione di attraversare una mente collettiva: ogni stanza suggerisce un diverso linguaggio, ogni finestra è un potenziale schermo, ogni oggetto un innesco narrativo. I visitatori non entrano in una sala espositiva: entrano nella quotidianità del progetto, con le sue libertà e le sue frizioni. A costruire questo grande organismo temporaneo sono stati ventisette artisti internazionali, una compagine che restituisce la portata globale della residenza. Tra gli altri, Audrey He, con le sue indagini sulla memoria visiva; Angeles Infante, con una ricerca che fonde corpo e identità; Barbara Tong e Chia Lee, con opere che oscillano tra pittura e grafica; Cristina Zavala Portugal, con narrazioni che toccano i territori affettivi; Hyehyeon Kwon e Icy Tan,l impegnate in percorsi che interrogano il quotidiano; Jérôme Chazeix, con il suo immaginario multimediale; Jiacheng Wang e Jiannan Wu, che rileggono la cultura visiva cinese; John Rash, che lavora su fotografia e video come dispositivi del tempo; Juan Pablo Chipe e Julian Pesce, con ricerche che attraversano oggetti e simboli; Kartika Mediani e Kate Prior, con pratiche sospese tra design e scultura; KOCTEL, alter ego di Fernando Hernández Arboleda, con il suo universo pop; Lin Fanglu, con il lavoro sulla tradizione tessile; Michael Maurissens, con la sua sensibilità coreografica applicata alle immagini; Philip Ortelli e Ségolène Romier, con installazioni che interrogano lo spazio; S.O.B. (Stefano Ogliari Badessi), con interventi ambientali; Ton Mak, con figure morbide e ironiche che abitano l’ambiente come presenze affettive; Ulrike Johannsen, con opere che rileggono gli archetipi visivi; Vasken Mardikian, con costruzioni materiali sospese tra forma e memoria; Xuanchen Fan e Xue Fei, con dipinti che dialogano con la tradizione in chiave sperimentale; Yoyojin, la cui ricerca si muove tra gesto, disegno e spazio. Una geografia eterogenea che non ha prodotto una mostra tematica, ma qualcosa di più profondo: un organismo narrativo composto da frammenti autonomi che si integrano reciprocamente.

The Swatch Art Peace Hotel, Playground 2025

The Swatch Art Peace Hotel, Playground 2025

Il modo in cui la mostra si è appropriata dello spazio spiega meglio di qualsiasi parola la filosofia di SAPH. Alcune installazioni hanno utilizzato le finestre come quinte teatrali; altre trasformato gli atelier in microambienti percettivi; altre ancora usavato materiali poveri oppure oggetti trovati in città, come se Shanghai fosse un deposito di immagini da rielaborare. Procedendo dalla hall verso i piani superiori, ogni passo può modificare il proprio punto di vista: in una stanza la luce è colore, in un’altra il suono è paesaggio, in un’altra ancora la materia è gesto. La mostra, iniziata il 12 novembre, ha coinciso con gli ultimi giorni della residenza: un dato che rende SAPH un caso piuttosto unico nel panorama delle residenze artistiche internazionali è la capacità di mostrare il processo prima del prodotto, di far percepire la vulnerabilità dell’atto creativo, la fluidità, la natura in divenire. Anche il Museo Virtuale, che conserva le tracce lasciate dagli artisti nel corso degli anni, restituisce questa sensazione di continua mutazione: navigando online si può scorrere un atlante fatto di pitture, video, sculture, disegni, fotografie, performance, tutti legati da un solo elemento comune: essere nati qui, in un luogo che non chiede all’arte di rappresentare, ma di accadere. La risonanza internazionale della residenza non è un effetto collaterale: è parte del suo DNA. Nel 2025, oltre alla mostra di Shanghai, alcuni lavori degli ex residenti sono stati presentati alla Zurich Art Weekend, testimonianza di come il SAPH non produca semplicemente oggetti artistici, ma generi comunità, reti, relazioni che si estendono ben oltre i mesi trascorsi in Cina. La residenza diventa così un punto di partenza, non di arrivo: un contesto che apre traiettorie di ricerca individuali e collettive. Guardando lo Swatch Art Peace Hotel dall’esterno, con la sua imponenza storica e le sue finestre affacciate sul Bund, il lungo viale che costeggia la riva sinistra del fiume Huangpu, di fronte al quartiere degli affari di Pudong, è facile dimenticare che al suo interno non si celebra il passato, ma si costruisce il presente, prima ancora del futuro. La sua forza non è nell’accumulo delle opere è nell’aver creato un luogo in cui l’arte non viene programmata, ma vissuta. Un esempio di come un’azienda possa intervenire nel contemporaneo creando infrastrutture culturali, dando tempo, spazio, possibilità.

The Swatch Art Peace Hotel

Jenny Dogliani, 08 dicembre 2025 | © Riproduzione riservata

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Swatch Art Peace Hotel, Shanghai. Ritratto di un ecosistema artistico | Jenny Dogliani

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