«Paesaggio con arco trionfale e monumento equestre» di Luca Carlevarijs, Vicenza, Museo Civico di Palazzo Chiericati

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«Paesaggio con arco trionfale e monumento equestre» di Luca Carlevarijs, Vicenza, Museo Civico di Palazzo Chiericati

Troppi clandestini sotto l’ombra del Canaletto

Un percorso labirinto e dubbie attribuzioni rendono ingiustamente il paesaggio veneziano settecentesco un genere minore

La Pinacoteca dei Musei Civici agli Eremitani di Padova, oltre ai capolavori, da Giotto e Guariento a Piazzetta, Tiepolo e Canova, raccoglie le espressioni più intime dell’arte veneta. Uno dei nuclei importanti, di notevole consistenza, è costituito dai dipinti di paesaggio tra Sei e Settecento, con una parte della donazione Emo Capodilista, fondamentale per lo studio del genere che fiorisce a Venezia nel XVIII secolo.

I porti di mare o battaglie navali di Johann Anton Eisman (1613 o 1620 ca-1698) sono un riferimento imprescindibile per gli inizi di Luca Carlevarijs (1665-1730), le burrasche di Antonio Marini (1668-1725) d’ispirazione per Francesco Guardi (1712-93), i paesaggi campestri di Bartolomeo Pedon (1665-1733), rivale del raffinato Marco Ricci (1676-1730), per Giuseppe Zais, fino ad Antonio Diziani (1737-97), che con il fratello Gaetano rappresenta l’ultima generazione dei paesaggisti veneziani del secolo.

La mostra a cura di Federica Spadotto, dal titolo ambizioso che unisce «all’ombra di Canaletto» il paesaggio e il capriccio, è costruita su questa solida ossatura. Le opere del museo sono affiancate da 42 dipinti di collezioni private (su 78 opere esposte), oltre a due oculati prestiti di collezioni pubbliche, di Palazzo Chiericati e del Museo Revoltella: il pacato «Paesaggio con arco trionfale e monumento equestre» di Luca Carlevarijs (cat. 27) e il «Paesaggio con lavandaie», capolavoro di Marco e Sebastiano Ricci (cat. n. 2).
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Canaletto è lì, con il suo glorioso «Capriccio architettonico», saggio della sua sofferta ammissione all’Accademia delle Belle Arti dell’11 settembre 1763 (cat. n. 76). Questo prestito generoso delle Gallerie dell’Accademia di Venezia è invece difficilmente spiegabile nell’ambito di questa mostra, come la serie di capricci architettonici che lo circondano. Non è certamente eseguito all’ombra di Canaletto il dipinto espostogli a fianco, che con Canaletto condivide soltanto il formato verticale e la presenza di un colonnato, ma in rovina; quest’opera la cui materia smaltata richiama la seconda metà dell’Ottocento, forse francese, è qui data, senza ritegno, a Francesco Guardi (cat. n. 78).

Le tre tele di fronte, dalle tonalità grigiastre, presentate come Giacomo Guardi, sono un’altra offesa al grande veneziano: appartengono in modo inequivocabile alla mano di un copista moderno (cat. nn. 81-83). Il «Capriccio con rovine e l’isola di San Giorgio», attribuito a Francesco Tironi, è un’opera modesta della bottega di questo valente seguace di Guardi e Canaletto (cat. n. 77); si salva «Il Capriccio costiero con figure e cavalieri» di Francesco Battaglioli, seppure non rappresenti al meglio questo provetto inventore di delicate architetture (cat. n. 79). La sala, che da sola compromette il valore scientifico della mostra, si chiude con l’imponente «Capriccio con rovine e templi classici», presentato con il nome di Antonio Zucchi (1726-95) (cat. n. 80).

È inutile la ricerca nel catalogo degli argomenti di valore artistico e storico a motivare l’attribuzione, già avanzata da Egidio Martini prima dell’asta Wannenes della collezione di Luigi Armondi, cui appartenne (28 maggio 2019, lotto 56). Prima e durante l’incanto Wannenes, tramite il banditore, i telefonisti e gli esperti in causa, ha informato tutta la clientela, chi seguiva la vendita e l’acquirente, che il dipinto in oggetto non è antico bensì del XIX-XX secolo.

Nella successiva sfilza di capricci architettonici, con saggi di Apollonio Domenichini e attribuzioni forzate ad Albotto e Marieschi, spicca il grande Capriccio con frati, dal cupo paesaggio con rare figure, dominato dal fantasioso palazzo dalla fattura ancora seicentesca e di reminiscenze genovesi; imbarazzante l’assegnazione ad Antonio Visentini (1688-1782) (cat. n. 30).
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In tutte le schede dei dipinti di collezioni private, compilate da Federica Spadotto (diversamente da quelle delle istituzioni museali, redatte puntualmente da Elisabetta Antoniazzi, con notizie storiche e vicende attributive), non sono considerati i caratteri stilistici e tecnici, tali da validare i nomi accollati, trascurata altresì la storia collezionistica, rintracciabile peraltro negli archivi anche recenti del mercato dell’arte. Molti sono gli «inediti», altri già pubblicati, principalmente dalla stessa Spadotto.

Se il catalogo segue almeno in parte l’ordine cronologico, il percorso è un labirinto, una specie di sagra del paesaggio e del capriccio. È legittimo chiedersi, a questo punto, quanti sono gli autografi tra gli otto paesaggi esposti di Francesco Zuccarelli (1702-88), che non apportano alcun elemento nuovo alla conoscenza di questo affascinante pittore cosmopolita, alcuni in stato di conservazione insoddisfacente, e i sette di Giovanni Battista Cimaroli (1687-1771), ambedue artisti di cui il curatore della mostra ha pubblicato i cataloghi generali.

Chi non conosce la bellezza e vitalità del paesaggio veneziano del Settecento uscirà da questa mostra convinto sia un genere minore e antiquato. Eppure, le conquiste di Marco Ricci, Zais, Zuccarelli, sono parte della poetica di Canaletto stesso, colte con ancora maggiore adesione dal nipote Bernardo Bellotto fin dall’incontro con la natura nel viaggio a Padova lungo il Brenta, sublimate poi nei dipinti di Pirna e Königstein, capolavori della pittura europea di paesaggio.

Bozena Anna Kowalczyk è storica dell’arte esperta di Canaletto

«Inverno» di Antonio Diziani, Padova, Museo Eremitani

«Prospettiva con portico» del Canaletto, Venezia, Gallerie dell’Accademia

Bozena Anna Kowalczyk, 18 luglio 2023 | © Riproduzione riservata

Troppi clandestini sotto l’ombra del Canaletto | Bozena Anna Kowalczyk

Troppi clandestini sotto l’ombra del Canaletto | Bozena Anna Kowalczyk