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Carlino Corezzi
Leggi i suoi articoliVisibile alla Gam di Milano fino al 6 luglio, «Terrone» è la mostra attraverso cui Ugo Rondinone, cui l’artista nato in Svizzera da genitori lucani e residente a New York, esplora il concetto di identità e appartenenza attraverso opere che celebrano la terra e le radici. È un’opportunità per riflettere sul significato delle emigrazione e dell’identità, un invito al pubblico a riscoprire il valore della terra e delle proprie origini. Caroline Corbetta, curatrice della mostra, ce ne racconta la genesi, i significati e il dialogo con la collezione della GAM, in particolare con Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo.
La mostra prende avvio da una coincidenza che riguarda il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo: conservato alla GAM di Milano, il dipinto è legato anche all’infanzia di Rondinone. Può dirci di più?
Si è verificato un allineamento astrale, se così si può dire. Dopo un paio di ipotesi di allestimento di alcune sculture di Ugo Rondinone in pubbliche piazze milanesi, mai concretizzate, mi è arrivata la proposta da parte di Gianfranco Maraniello, direttore dei Museo Civici milanesi, di immaginare una installazione dell’artista nel cortile della GAM. Mi è sembrata subito la soluzione ideale, perché d’accordo con Maraniello avrei potuto chiedere a Rondinone di lavorare anche dentro il museo, in dialogo con opere della collezione, se lui avesse trovato delle fonti di ispirazione. Mi aspettavo che sarebbe stato affascinato dalle teste e dai busti in cera di Medardo Rosso, visto che tra l’altro anche lui ha realizzato diverse sculture in cera, ma mai avrei immaginato che avrebbe trovato proprio a Milano, nella GAM, la sua immagine identitaria: il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo. I suoi genitori, infatti, emigrati in Svizzera tedesca da Matera a fine anni ’50, dove Rondinone è nato nel 1964, avevano appeso sul muro della cucina una foto del papa di allora, Giovanni XXIII, e una riproduzione del Quarto Stato, simbolo della lotta proletaria per buona parte del secolo scorso. Da piccolo spesso suo padre lo ammoniva così, indicandogli quell’immagine: «Questi siamo noi. Ricordati sempre da dove vieni». Insomma, una coincidenza incredibile o un destino, a seconda di come la si veda. Sta di fatto che dopo la prima enorme sorpresa, Rondinone mi ha detto: «Caroline abbiamo una mostra!». E così è stato, la sequenza espositiva si è formata in modo quasi simultaneo, parte dai calchi di ulivi materani nel cortile del museo, passando dal pannello di strumenti della cultura contadina che dialoga col Quarto Stato, per arrivare ai nudi impastati con cera e terra proveniente da tutti i continenti. Con pochissime modifiche in fase di progettazione.

Courtesy Andrea Rossetti
Quanto è importante la memoria nell’attività artistica?
Nel caso specifico di questo progetto espositivo, l’artista, ispirato, anzi folgorato dall’incontro col Quarto Stato, è partito dalla sua biografia, dalle sue vicende familiari e dalla propria identità per allargare il ragionamento e portarlo su un piano collettivo e condiviso. Il tema della migrazione dello sradicamento, ma anche quello del lavoro come strumento di emancipazione e riscatto, non appartiene solo all’esperienza di Rondinone, ma riguarda milioni di individui, in ogni parte del mondo, ieri come oggi. I grandi artisti partono da dati autobiografici, memorie personali che mettono in scena, condividendole in una dimensione ampia e universale, in modo che ognuno possa relazionarvisi secondo il proprio vissuto e le proprie sensibilità. Rondinone rende il suo immaginario collettivo, usando elementi primari come gli alberi, i nudi o gli strumenti contadini, immagini archetipe, universali comprensibili a tutti.
È stato difficile selezionare le opere da esporre, dovendo muoversi in tanti anni di ricordi ed esperienze?
No, perché come raccontavo l’incontro col Quarto Stato è stato come un’epifania che ha generato la mostra in modo quasi spontaneo. La fase delicata è stata piuttosto quella di progettare la convivenza fisica con le opere della collezione della GAM, e in particolare costruire l’opera The Large Alphabet pf my Mothers and Fathers dentro il museo. Non ci siamo mai sentiti degli invasori né «ospiti non graditi», abbiamo lavorato pieni di rispetto e di entusiasmo nel riannodare dei fili invisibili tra arte del presente e del passato, tra la storia dell’artista e vicende collettive. Con Rondinone, a mostra allestita, ci siamo resi conto di emozionanti corrispondenze tra le sue opere e quelle in collezione, che non avevamo pianificato essendoci concentrati sulla relazione con Pellizza e Medardo Rosso. Parlo, ad esempio, della quadreria ottocentesca dedicata agli alberi o il bronzo del lavoratore, che riposa con i suoi strumenti di lavori ai piedi (di fine XIX secolo). D’altro canto la mostra è composta di tre cicli di opere (gli Alberi, gli Attrezzi e i Nudi) che afferiscono a tre generi classici (paesaggio, natura morta e nudo) abbondantemente rappresentati nella collezione della GAM. Ed è per questo che le opere di Rondinone sembrano appartenere a questo luogo, a questa collezione.
Che significato assume il gesto di recuperare gli attrezzi dei contadini e ricoprirli d’oro?
Ugo Rondinone aveva già realizzato delle versioni precedenti e più piccole di The Large Alphabet of my Mother and Fathers, dopo aver trovato degli attrezzi contadini degli anni Venti del secolo scorso presso dei rigattieri di Long Island. Attrezzi che somigliavano a quelli che da piccolo vedeva a Matera nel Sasso della nonna materna, scoprì poi che l’80% dei contadini che lavoravano in quell’area della East Coast erano emigrati dal Sud Italia. Gli strumenti sono stati dorati per nobilitare il lavoro e la fatica di chi li ha utilizzati, spesso emigrati analfabeti che si esprimevano attraverso il lavoro. La doratura evidenzia inoltre le tracce d’uso, evocando le persone che li hanno maneggiati, le loro esistenze, i loro sacrifici.

Courtesy Andrea Rossetti

Courtesy Andrea Rossetti
Il titolo «Terrone» si riferisce dunque a storie di immigrazione e discriminazione. Ma non solo.
La mostra parla di terra (alberi e strumenti contadini) ed è in parte fatta di terra: i sei nudi in mostra sono calchi in cera trasparente miscelata a terra proveniente da tutti i continenti. Sono ritratti dell’umanità intera. C’è la terra abbandonata dai genitori di Rondinone e quella (ri)acquistata dall’artista nei pressi di Matrra per realizzare calchi di ulivi secolari e millenari. Ma c’è anche intenzione di riprendere questa parola da chi la usa e l’ha usata come un insulto razziale, disarmandolo/la, per riportarla a una dimensione di rivendicazione identitaria, di orgogliosa vicinanza alla terra.
Com’è nata ed è stata recepita la scelta di un titolo così forte?
Dopo un primo titolo provvisorio, Ugo ha pensato a questo. Ne abbiamo parlato molto io e lui prima di condividerlo. L’ho difeso, anche quando sembrava troppo problematico e rischiavamo di essere fraintesi, proprio perché conoscendo a fondo il progetto espositivo, mi ero convinta che non ci fosse titolo migliore. Alla fine sia il pubblico che la stampa hanno capito l’intenzione non provocatoria, ma poetica dell’artista e non c’é stata nessuna strumentalizzazione.
La luna e le opere a essa dedicate, che ruolo hanno nella mostra?
La luna, come le stelle e le maschere, erano i soggetti della mostra intitolata «La Notte», curata da Rondinone e allestita nello stand di Cardi Gallery alla scorsa edizione di Miart. Per l’artista, che suddivide tutta la sua produzione in Giorno e Notte, quella mostra, durata pochi giorni, creava un contrappunto con la mostra in GAM fatta di elementi del giorno, come gli alberi, i nudi e gli attrezzi da lavoro.
Rondinone fa spesso riferimento a una Giustizia poetica. Che cosa intende?
Lui non si definisce né si sente un artista politico, ma piuttosto poetico. Usa gli archetipi, cerca ci comunicare prima di tutto a livello emotivo pur affrontando temi sociali come migrazione, lavoro, discriminazione, lotta di classe ecc. Alla preview stampa di «Terrone», incalzato da diversi giornalisti sugli aspetti socio-politici del suo lavoro, e di questa mostra in particolare, ha risposto che si tratta piuttosto di giustizia poetica, che mi sembra la sintesi perfetta della mostra e del suo titolo, e del suo lavoro più in generale.
È la natura la vera protagonista dell’esposizione?
Natura e umanità sono entrambe protagoniste della mostra. Per Rondinone non esiste differenza, né gerarchia: facciamo parte dello stesso pianeta. Estremizzando un po’ dobbiamo sentirci più vicini alla terra, rispettarla amarla. Forse dovremmo dirci tutti terroni.

Courtesy Andrea Rossetti
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