La mobilitazione di opere d’arte per esposizione temporanee dovrebbe sempre essere supportata da un arricchimento scientifico, storico e artistico relativo all’opera stessa. È senz’altro questo il caso della tavola di Ugo da Carpi, raffigurante la «Veronica che dispiega il velo del Volto Santo tra gli Apostoli Pietro e Paolo», attualmente esposta al Museo Civico d’Arte Antica di Torino, attorno alla quale è allestito un percorso espositivo che ne rivela la sua storia e la particolare tecnica esecutiva.
Grazie alla collaborazione tra la Fabbrica di San Pietro in Vaticano e alla Fondazione Torino Musei, con lo scopo di portare a Palazzo Madama significative opere d’arte e di fede della Basilica Vaticana che meritano un approfondimento di studio e restauro, è stata presentata quest’anno un’opera di grande importanza devozionale, realizzata alla vigilia del Giubileo del 1525 dal celebre intagliatore Ugo da Carpi per l’altare del Volto Santo della Basilica di san Pietro a Roma.
Come per le precedenti iniziative espositive (nel 2018 era stata presentata la «Madonna con Bambino» di Scossacavalli e nel 2021 la «Madonna delle Partorienti» di Antoniazzo Romano), la pala di Ugo da Carpi è accompagnata da un’accurata ricerca storica e meticolose indagini scientifiche condotte dagli esperti dei laboratori vaticani.
La multidisciplinarità degli studi ha consentito di identificare cosa volesse dire la scritta «fatta senza pennello» riportata dallo stesso autore sul dipinto, accanto alla firma. Quella di Ugo da Carpi fu una sperimentazione senza precedenti, estremamente audace, che nessuno provò più a replicare. L’intagliatore infatti adoperò la tecnica della stampa a matrici sovrapposte: più legni singolarmente inchiostrati che, come timbri, trasferivano il colore sulla tavola preparata tradizionalmente a gesso e colla.
Fin da subito, l’ingegnosa tecnica non fu da molti capita. Tra questi Michelangelo, che come riporta Vasari, lo beffeggiò sostenendo che «sarebbe stato meglio avesse adoperato il pennello» rispetto alle dita e a «strumenti capricciosi». Come suggerisce il curatore dell’esposizione, Pietro Zander, l’autore carpigiano dovette convincere di tale sperimentazione Papa Clemente VII, sostenendo di voler produrre un’immagine acheropita, che non poteva essere realizzata dunque con pennello, esattamente come avvenne per il volto di Cristo sulla reliquia, che al tempo era considerata la più importante nella basilica romana.
Il suggestivo allestimento espositivo, progettato dall’architetto Roberto Pulitani, proietta il visitatore a Roma, in un percorso che si snoda attraverso i cinque secoli in cui ha vissuto l’opera: dall’antica Basilica Costantiniana (contestualizzando il luogo per cui fu realizzata), all’attuale Fabbrica di San Pietro, entrambe riprodotte a grandezza reale.
Due navate che fungono da quinte, a supporto della pala d’altare carpigiana collocata al centro e posta, simbolicamente, sotto l’affresco dell’ostensione della Santa Sindone. Pietro e Paolo, patroni di Roma, insieme a Veronica accompagnano l’ostensione del Santo Volto a Torino, in perfetta armonia con il telo sindonico. Due immagini esemplificative del dialogo che l’arte permette con la fede.
Lungo la visita si possono ammirare un disegno preparatorio per la pala di San Pietro del Parmigianino, mutuato da una xilografia di Durer (Galleria Sabauda di Torino) e altre opere di Ugo da Carpi, tra cui gli straordinari chiaroscuri del gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi che, paradossalmente, sembrano dipinti a pennello.
Così, dopo 500 anni, una storia paradigmatica, finora negletta, del nostro Rinascimento è riportata alla conoscenza, trovando una nuova collocazione tecnica e artistica all’interno della storia.
La mostra, corredata da un catalogo di alto livello scientifico, è aperta al pubblico fino al 29 agosto.