La Sala dell’Affresco all’interno del Complesso di San Micheletto, sede della Fondazione Ragghianti a Lucca, centro studi dedicato a Licia e Carlo Ludovico Ragghianti e attore principale dell’offerta culturale cittadina, accoglie dal 16 novembre al 6 gennaio la mostra «Arte tra due secoli. Opere dalla Collezione Vincenzo Giustiniani 1875-1920» a cura di Paolo Bolpagni e Andrea Salani. Questa raffinata selezione della raccolta Giustiniani, costituita da circa duecento opere donate da Diamantina Scola Camerini alla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, è una sorta di primo assaggio della collezione permanente di proprietà dello stesso ente che, a tempo dovuto, troverà collocazione nella Fondazione Centro delle Arti, un nuovo polo espositivo a vocazione internazionale identificato nei locali dell’ex Cinema Nazionale il cui coordinamento scientifico sarà curato dalla Fondazione Ragghianti.
La collezione formata dal nobiluomo Vincenzo Giustiniani (Ferrara, 1864-Forci, 1946) è pervenuta per via ereditaria alla nipote Diamantina Scola Camerini. Con il nonno materno, bibliofilo, cacciatore, appassionato d’agricoltura e artigianato, quest’ultima ha condiviso l’affezione per la città di Lucca e per Forci, la tenuta da lui acquistata nel 1917, divenuta meta privilegiata di numerosi e illustri visitatori tra cui, nel 1935, la regina d’Italia Elena di Savoia.
Raffinato cultore di pittura moderna e arti decorative, Giustiniani non disdegnava la pratica del dipingere e tra gli artisti maggiormente ricercati attraverso acquisti presso case d’asta come quella diretta a Firenze da Luigi Battistelli o da mercanti di lungo corso come Mario Galli (estimatore nonché collezionista lui stesso del gruppo del Caffè Michelangiolo) figurano i protagonisti della rivoluzione macchiaiola. Giovanni Fattori primeggia con oltre venti testimonianze tra cui spicca la poeticissima marina «Paranze da pesca», non più esposta al pubblico da quando, tra il 1927 e il 1928, figurò al Palazzo dell’Esposizione di Roma in occasione della XIII Mostra d’Arte del Gruppo Labronico, rassegna allestita all’interno della II Mostra d’Arte Marinara e I Mostra d’Arte Fiumana. Seguono poi Silvestro Lega, Telemaco Signorini, Odoardo Borrani e Giovanni Boldini del quale è presente anche la tavoletta raffigurante Leopolda Banti alla spinetta risalente ai primi anni Sessanta, epoca del soggiorno a Firenze del pittore ferrarese e della sua frequentazione con Cristiano Banti.
A questi si aggiungono esponenti della corrente successiva che, seppur ai loro esordi in qualche modo fiancheggiatori dei Macchiaioli, da quell’alveo presero poi le distanze per acquisire un tratto stilistico identitario, come Eugenio Cecconi, apprezzato pittore di scene di caccia e di soggetti orientali. Audace sperimentatore e determinato nell’intraprendere nuove strade, vedi le numerose opere di bonifica e riconversione agricola apportate alla tenuta di Forci, divenuta un modello di esemplare fusione tra tradizione e progresso, Giustiniani intravide negli artisti a lui contemporanei come Plinio Nomellini e Oscar Ghiglia, entrambi figli spirituali di Fattori, il desiderio di emanciparsi adeguando l’antica «impalcatura macchiaiola» alla nuova sensibilità europea. Il primo dei due, soprattutto, apparve ai suoi occhi come il più talentuoso e il più audace. E non a torto. Proprio la facilità e l’immediatezza espressiva gli avrebbero consentito di aderire, sia pure con alternanze e ritorni, a diverse correnti quali quella impressionista, divisionista e simbolista.
Giustiniani poté esprimere tutta la predilezione estetica per Nomellini in occasione di due aste organizzate a Firenze da Mario Galli nel maggio del 1919 quando giunse ad aggiudicarsi gli ottantasei dipinti esitati per un valore di oltre 100mila lire, sottraendoli in blocco a una sala animata da due contendenti particolarmente agguerriti come Enrico Checcucci e Alfredo Materazzi. Ai suoi occhi quel pittore livornese, identificato fin dagli esordi dallo stesso Signorini come uno dei più promettenti allievi di Fattori, dovette apparire il più meritevole proprio per il desiderio di sprovincializzarsi e mostrarsi al passo coi tempi, avvicinandosi a quella interpretazione neoimpressionista della realtà diffusa allora in Francia.
Anche con il prolifico Galileo Chini Giustiniani entrò in stretto contatto ai primi del Novecento, apprezzandone in sommo grado le creazioni in ceramica, decorate con modelli tratti dall’Art Nouveau, dalla Secessione viennese e dal gusto modernista, quando in qualità di finanziatore subentrò nella Società Arte della Ceramica, a Borgo San Lorenzo, poi rinomata Manifattura di Fontebuoni.