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Una panoramica di Artissima. Foto: Perottino-Piva-Bottallo, Artissima 2018

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Una panoramica di Artissima. Foto: Perottino-Piva-Bottallo, Artissima 2018

Contemporanea ma con salde radici moderne

La 25ma edizione di Artissima chiude con un'ottima affluenza e un buon tasso di vendite

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Jenny Dogliani

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Sperimentale, contemporanea, ma anche un po’ moderna. La 25ma Artissima asseconda le tendenze del mercato. Il collezionista piccolo e medio sente l’incertezza finanziaria aleggiare su Italia ed Europa e diventa più riflessivo, meno coraggioso. Meglio puntare su artisti affermati, o addirittura su nomi altisonanti del moderno italiano. Burri, Dorazio e Capogrossi fanno capolino nella main section di una fiera che ha nella ricerca la sua ragion d’essere, «ma i collezionisti internazionali sono contenti di trovare anche quello», spiega la berlinese Isabella Bortolozzi, membro del comitato di selezione.

La seconda edizione diretta da Ilaria Bonacossa (all’Oval di Torino dal 2 al 4 novembre) si è chiusa con 54.800 visitatori, un’ottima affluenza. Buone anche le vendite, che hanno lasciato i galleristi mediamente soddisfatti. 5.500 collezionisti potevano scegliere tra opere di mille artisti: dalle sciarpe da tifosi dell’arte di Cattelan, vendute a 45 euro all’ingresso dell'Oval, a una tela di Twombly di modeste dimensioni (2,2 milioni di euro), da una versione di «Pro Evolution Soccer» di The Cool Couple (350 euro) a un piccolo cretto di Burri (780mila euro).

Non stupisce, allora, se la più entusiasta tra i galleristi interpellati è Eleonora Tega (Tega Milano). «Siamo una galleria d'arte moderna; abbiamo presentato un progetto su Roma anni Sessanta, un moderno più contemporaneo. Pensavo di vendere un quadro... Abbiamo venduto a un museo americano un sicofoil di Accardi, a collezionisti privati opere di Accardi e Capogrossi, un'opera importante di Novelli, una di Perilli, una di Rotella, una di Angeli e stiamo chiudendo una trattativa su un lavoro di Festa, il tutto con prezzi da 30mila a 200mila euro (due le vendite importanti)», nello stand anche Burri, Schifano, Twombly, Dorazio e Turcato da 30mila a 2,2 milioni di euro.

Bene anche gli artisti contemporanei affermati. Da Tucci Russo (Torino e Torre Pellice), per esempio, si vendeva un bronzo di Tony Cragg sui 250mila euro; Lia Rumma (Napoli e Milano) ha fatto «buone vendite in tutte le fasce di prezzo», ha confermato Paola Potena tra opere di William Kentridge, Marina Abramovic, Wael Shawky, Thomas Ruff e Vanessa Beecroft da 5mila a 150mila euro. «Abbastanza soddisfatta, con vendite in tutte le fasce di prezzo» anche Carolina Esposito della galleria Sprovieri di Londra, con lavori di Jannis Kounellis, Pedro Cabrita Reis, Francesco Arena e Jimmie Durham da 20mila a 300mila euro.

E in fondo non hanno deluso neppure gli artisti giovani o meno conosciuti. Sono andati bene i disegni di Diego Perrone da Massimo De Carlo (Milano) da 8mila a 20mila euro; «Non possiamo lamentarci delle vendite», affermava Francesco Pantaleone (Palermo e Milano) con opere di Per Barclay, Ignazio Mortellaro, Carlos Garaicoa, Loredana Longo da 2mila a 25mila euro. E come lui Antonio Verolino (Modena), nella sezione Back to the Future con Cesare Leonardi da 6.500 a 20mila euro.

Insomma, giovani e meno noti si vendono, ma un po’ più lentamente. «I nostri artisti non sono molto conosciuti in Italia, richiedono più tempo, non vengono acquistati per investimento, ma per passione», spiega Mauro Ribero della Rossi & Rossi (Londra, Hong Kong), con opere di Rasheed Araeen, Naiza Khan e Faiza Butt da 4mila a 190mila dollari.
«Io che propongo artisti non storici o affermati, con prezzi ancora contenuti, ho la sensazione di essere nel settore più penalizzato per l'incertezza del momento», spiegava Alberto Peola (Torino) con opere di Candida Höfer, Gioberto Noro, Simone Mussat Sartor, Paolo Bini, Lala Meredith-Vula, Rosa Barba e altri da 5mila a 15mila euro.

Attenzione però: «195 gallerie sono tante per il mercato italiano, seppur aiutato un po' dai collezionisti stranieri. Sarebbe opportuno mantenere la caratteristica di Artissima, cioè la ricerca e la novità, che è il motivo per cui i collezionisti vengono a Torino col desiderio di vedere cose nuove, sennò rischia di somigliare ad altre fiere», chiosa Peola.

A controbilanciare un carattere di ricerca, qua e là un po' appannato, c'era la sezione sperimentale Artissima Sound alle Ogr: più simile a una mostra, molto interessante e apprezzata dal pubblico (dall'1 al 4 novembre, al netto di tutte le iniziative, gli ingressi alle Ogr sono stati 16.870, il doppio di quelli registrati nell'art week del 2017), ma con pochi collezionisti e scarse vendite, secondo i galleristi interpellati.

Caustico il commento di Mario Mazzoli della galleria Mazzoli (Modena, Berlino), specializzata in Sound art e «maggiore azionista» della sezione (suoi tre dei quindici artisti esposti): «Abbiamo pagato per essere lì, come se fosse una sezione fieristica, in realtà è più una mostra. Una grossa attrattiva per il pubblico comune. Gli spazi sono distribuiti in modo angusto e iniquo, a parità di prezzo ci sono gallerie con metrature enormi e altri con metrature molto piccole. A livello potenziale una valida idea, a livello pratico, per noi galleristi, un fallimento. Io come galleria specializzata nella Sound art portavo tre artisti (Christina Kubisch, Roberto Pugliese e Michele Spanghero, da 5mila ai 150mila euro), gli altri uno solo. Mi sono sentito un po' usato: sono stato utile a loro, ma loro non sono stati utili a me».

Una panoramica di Artissima. Foto: Perottino-Piva-Bottallo, Artissima 2018

Jenny Dogliani, 05 novembre 2018 | © Riproduzione riservata

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