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Francesca Petretto
Leggi i suoi articoliBerlino (Germania). Il 2019 in Germania sarà dedicato alle celebrazioni per il centenario della nascita del Bauhaus, ufficialmente avvenuta il 12 aprile 1919: il 6 aprile prossimo, avrà luogo a Weimar l’inaugurazione del Neues Museum di Heike Hanada, punto culminante per i festeggiamenti che si protrarranno fino a fine anno.
Nel solo mese di gennaio spiccano, in un fitto calendario di eventi, tre mostre in particolare, due delle quali a Berlino, di accompagnamento al Festival ufficiale d’apertura alla Akademie der Künste (dal 16 al 24 gennaio), una terza a Francoforte sul Meno.
Nella capitale si darà avvio alle esposizioni a tema con una prima (dal 15 gennaio al 3 marzo), fotografica, alla Willy-Brandt-Haus, intitolata «bau1haus – die Moderne in der Welt». È un viaggio in bianco e nero del fotografo Jean Molitor, impegnato dal 2009 a documentare in giro per il mondo le impronte costruite lasciate dagli allievi della celebre scuola di Weimar.
Generazioni di architetti, designer e artisti loro eredi si sono ovunque nel pianeta confrontate con l’oggettività, la sobrietà e la funzionalità predicate da Walter Gropius e colleghi, vedendo in esse la sola possibile risposta alle nuove esigenze della società contemporanea. L’obiettivo di Molitor si sofferma sull’estetica degli edifici del Bauhaus, movimento artistico epocale invero ancora in vita.
La seconda mostra berlinese, «Von Arts and Crafts zum Bauhaus. Kunst und Design-eine neue Einheit!», dal 24 gennaio al 5 maggio al Bröhan Museum, si propone di fare ordine, smontare miti e luoghi comuni su un presunto stile Bauhaus, in realtà mai esistito, tanto meno cercato nella scuola «contro tutti gli stili», e sul mito stesso di un Bauhaus icona della modernità, per alcuni suo apice, per altri suo punto di partenza.
L’approccio è storico e riguarda soprattutto la moderna disciplina del design: dai precursori delle diverse correnti artistiche europee (il movimento Arts and Crafts e la Glasgow School, lo Jugendstil viennese, il Werkbund tedesco, l’olandese De Stijl) fino allo sbocciare della nuova Scuola di Weimar e alla sua evoluzione nella fuga in quelle di Dessau e Berlino. Cinquanta variopinti anni in oltre 300 opere mostrano i suoi epigoni e spiegano quanto sia stato inizialmente difficile sviluppare un proprio linguaggio che ne fosse indipendente.
Che non si trattò poi di una lingua unica, bensì declinata nel rispetto delle diverse strutture sintattiche regionali, spiega la terza mostra, «Moderne am Main, 1919-1933», al Museum Angewandte Kunst di Francoforte (dal 19 gennaio al 14 aprile), incentrata sul contesto costruito, artistico e politico della Neue Frankfurt, moderna metropoli assiana Anni Venti, travolta più di qualsiasi altra città tedesca dall’inarrestabile processo rivoluzionario postindustrializzazione, decisa a trovarvi risposte in una felice stagione di scuole e imprenditori impegnati con entusiasmo nel suo ridisegno estetico e sociale nel senso del nuovo. Un racconto a 360 gradi di architettura, moda, fotografia, arte e design.

«Wohnhaus Salomon Benalal» (1931) di Joseph und Elias Suraqui. Foto:Jean Molitor, Marokko, Casablanca.
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