Luca Emilio Brancati
Leggi i suoi articoliUna rara coppia di tappeti egiziani risalenti ai primi decenni del XVI secolo entra a far parte della collezione del Museo Nazionale del Bargello a Firenze. La notizia è stata diffusa giovedì 20 aprile durante la presentazione del progetto di riallestimento della Sala islamica previsto per l’inizio del prossimo anno. I tappeti provenivano dalla ex Villa Medicea di Camugliano presso Ponsacco, in provincia di Pisa, venduta nel 1637 dal Granduca Ferdinando II ai Marchesi Niccolini, tuttora proprietari della villa stessa e dei tappeti dei quali, verso la fine del 2021, avevano chiesto l’attestato di libera circolazione così da poterli inviare per la vendita alla sede londinese della casa d’aste Christie’s.
È a questo punto che Rossana Vitiello, direttrice dell’Ufficio Esportazione della Soprintendenza genovese presso cui era in corso la procedura, si interessa del caso e (memore della fondamentale mostra al Palazzo Ducale di Urbino nel 2018 dove erano stati esposti tra gli altri alcuni superbi esemplari mamelucchi) decide di indagare meglio il valore artistico dei due oggetti chiamando Elisabetta Raffo, direttrice della Fondazione Bruschettini per l’Arte islamica e asiatica che della mostra urbinate era stata organizzatrice.
Raffo suggerisce di coinvolgere Alberto Boralevi, studioso di tappeti e antiquario fiorentino che, dopo aver immediatamente ravvisato il pregio della coppia di tappeti (in realtà cuciti lungo il lato lungo così a formare un solo pezzo), su richiesta della Soprintendenza genovese redige il parere destinato alla Direzione Generale del ministero nel quale si avanza il suggerimento di acquisto coattivo dei beni (ex art. 70 del Codice dei Beni Culturali) per l’importo di poco più di 350mila euro, ovvero il valore dichiarato dai proprietari.
Si contano circa 120 tappeti mamelucchi superstiti nel mondo e appena 8 di questi sono gli esemplari in collezioni pubbliche italiane: un fatto che, nel caso in specie, insieme alla quasi unicità di una coppia di tappeti tessuti contemporaneamente sullo stesso telaio, al buono stato di conservazione e alla possibile vicenda storica legata ai Medici, deve aver convinto i dirigenti del Ministero della fondatezza dell’istanza.
Infine, da non sottovalutare, il buon prezzo se si tiene conto che gli ultimi due importanti tappeti mamelucchi venduti all’asta (il «Bardini-Pisa-Cini» nel 2019, ora al Louvre di Abu Dhabi, e l’«Hirth» nel 2020) provenivano dall’Italia e sono stati venduti per cifre ben superiori ai 2 milioni di euro. Prima di entrare al Bargello i due tappeti sono stati affidati alle cure della restauratrice Giulia Mariti che, dopo averli scuciti e separati su indicazione del museo, li ha sottoposti ad un accurato intervento conservativo di pulitura e consolidamento che ne ha recuperato la caleidoscopica luminosità tricromatica.
Non si può che essere soddisfatti dell’acquisto dei Mamelucchi di Camugliano: sia perché non si aveva notizia di una simile operazione da parte dello Stato italiano in tempi recenti e sia, quindi, perché così si è rimarcato il dovere didattico delle collezioni pubbliche anche sul fronte dei tappeti; infine, perché si è avuta la plastica conferma che l’impegno profuso da fondazioni e collezionisti privati nella diffusione della cultura del tappeto orientale (sebbene interprete documentato di quella europea da quasi mille anni) con pubblicazioni, mostre e convegni è cosa grandemente efficace nonché meritevole di un sempre maggior supporto da parte delle istituzioni culturali dello Stato.
Altri articoli dell'autore
Dal 6 all’8 giugno la città turca ospita la XV International Conference on Oriental Carpets, uno dei più importanti appuntamenti mondiali per studiosi, collezionisti e appassionati
Il 93enne industriale e collezionista ha donato alla Fondazione Tassara 1.300 tappeti antichi ora nel museo Mita, l’unico in Italia solo di tessili
Il nuovo Museo Internazionale del Tappeto Antico sarà «una fucina di scambio culturale, uno spazio di confronto che promuove un dialogo intergenerazionale e interetnico»
A Palazzo Rosso questi capolavori persiani del XVI secolo, «i più belli del mondo». Per favorire le comparazioni i sette mancanti sono presenti in replica, cui si aggiungono altri eccezionali prestiti dai quattro angoli d’Europa