Francesca Petretto
Leggi i suoi articoliDal 26 ottobre l’Hamburger Bahnhof presenta fino al 10 marzo 2024 la prima retrospettiva di Lee Ufan (1936) in Germania. Pittore, scultore e accademico minimalista coreano trapiantato a Kamakura, in Giappone, Lee è noto a livello internazionale soprattutto per essere uno dei più importanti rappresentanti della scuola giapponese Mono-Ha (spesso tradotto con «School of Things», è stato un collettivo di artisti attivi a Tokyo dal 1968 al ’75) e del gruppo artistico coreano Dansaekhwa (The Korean monochrome movement, movimento formatosi in Corea negli anni Cinquanta nel tentativo di conciliare l’influenza del modernismo occidentale sulla cultura artistica autoctona), per i suoi corpi di lavoro innovativi che enfatizzano il processo, i materiali e l’impegno esperienziale dello spettatore e del sito e per le critiche alla fenomenologia europea.
La mostra presenta circa 50 opere prodotte in oltre cinque decenni di carriera, offrendo una panoramica del suo lavoro quasi 50 anni dopo la sua prima partecipazione a una mostra collettiva in terra tedesca, alla Kunsthalle di Düsseldorf, e 46 dopo la sua partecipazione a Documenta 6 nel 1977. Artista profondo a tutto tondo, Lee Ufan accompagna sempre il suo lavoro con discussioni teoriche e scritti filosofici: in realtà, sono questi ultimi ad aver influenzato il collettivo di artisti Mono-Ha negli anni 1968-75 di una Tokyo che artisticamente si andava aprendo sempre più all’Occidente.
Il suo stesso lavoro si basa su intensi ragionamenti sulla filosofia dell’Estremo Oriente e su quella europea, di cui è fino conoscitore, che si riflettono sull’opera artistica nei continui, chiari approcci alla Minimal art e alla Land art statunitensi mischiandosi ai concetti asiatici tradizionali di spazio e paesaggio. Il motivo centrale è la trascendenza, il regno che trascende la percezione visiva e l’immaginazione.
Lee non si preoccupa di realizzare oggetti artistici ma usa l’arte per rendere visibile il silenzio e il vuoto circostanti, quello che chiama «il grande cosmo abbagliante»; con parole sue: «Limitando l’ego al minimo, voglio aumentare al massimo il rapporto con il mondo. Sono io che creo le corrispondenze, ma il fatto che dall’opera esca un senso di infinito si basa sulla forza dello spazio che è rimasto vuoto. Spero che le mie opere appaiano anche agli altri come ciò che sono per me: cose semitrasparenti che racchiudono sempre l’ignoto al loro interno».
L’impegno pluridecennale di Lee con la pittura è oggetto di un’insolita attrazione: il famoso «Autoritratto con berretto di velluto» (1634) di Rembrandt, proveniente dalla Gemäldegalerie, è esposto per la prima volta all’Hamburger Bahnhof in dialogo con l’installazione spaziale di Lee «Relatum - The Mirror Road» (2016-23). In questo modo, l’arte di Lee introduce i visitatori alle correnti artistiche formative del Giappone e della Corea degli anni Settanta e fornisce una nuova prospettiva su un’icona dell’arte europea occidentale.
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