Giuseppe Mancini
Leggi i suoi articoliIl 24 luglio Ayasofya di Istanbul (Santa Sofia, dal 1985 Patrimonio dell’Umanità Unesco) ha riaperto come moschea: costruita nel VI secolo come chiesa di Hagia Sophia (la chiesa della Santa Sapienza), trasformata in moschea con la conquista ottomana del 1453, era stata sconsacrata e aperta al turismo nel 1935. Lo scorso anno la decisione del presidente turco Erdogan ha scatenato polemiche, recriminazioni, proteste.
Dopo due missioni esplorative dell’archeologo e funzionario algerino Mounir Bouchenaki, a ottobre 2020 e febbraio 2021, l’Unesco ha formalizzato il suo punto di vista: il comitato direttivo del Centro per il Patrimonio mondiale, riunito in Cina nella seconda metà di luglio, ha infatti adottato una risoluzione che redarguisce la Turchia (con passaggi anche severi, ma solo nei toni) e indica azioni da compiere.
L'Unesco non parla di perdita dello status di «patrimonio dell’Umanità» ma conferma la sua censura per i cambiamenti effettuati senza consultarla, tra cui proprio la riapertura al culto islamico e la schermatura di alcuni mosaici durante gli orari delle preghiere tramite teli azionati elettricamente. Ha quindi espresso «grave preoccupazione» per l’impatto sul «valore universale» di Ayasofya, e ha invitato Ankara al dialogo e alla cooperazione.
La risoluzione incorpora le raccomandazioni e i suggerimenti di Bouchenaki: tappeti non fissi ma utilizzati solo per le preghiere e dal colore in armonia con i luoghi, la redazione di un masterplan per regolare i flussi dei visitatori, l’organizzazione di una conferenza internazionale sulla conservazione dei mosaici bizantini. I mosaici (che rendono l’edificio unico, oltre alla sua maestosità) rimangono quasi tutti sempre visibili, mentre gli altri lo sono al di fuori degli orari riservati al culto.
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