Gianfranco Adornato
Leggi i suoi articoliIl rimpatrio delle opere d’arte trafugate illegalmente dall’Italia e da altre Nazioni e vendute a istituzioni museali o privati all’estero è un tema di straordinaria attualità, che investe non solo gli addetti ai lavori (in primis, gli archeologi e il Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale, Tpc) ma anche la sensibilità della comunità tutta.
Negli ultimi decenni, proprio il nucleo dei Carabinieri Tpc, istituito nel 1969, si è particolarmente distinto in questa azione meritoria ed efficace, come giustamente evidenziato nella mostra «Arte liberata» alle Scuderie del Quirinale: grazie all’encomiabile e indefesso lavoro di monitoraggio del comando, tra cui si segnala l’«Operazione Teseo», notevoli oggetti e monumenti, facenti parte del patrimonio culturale italiano, sono stati recuperati nei maggiori musei internazionali, soprattutto negli Stati Uniti. Il reparto dispone, inoltre, di un’ampia banca dati di beni sottratti illecitamente e di un’avanzata tecnologia.
Nel corso degli anni sono stati rimpatriati oggetti archeologici di prim’ordine come il Cratere a figure rosse di Euphronios con la raffigurazione della morte di Sarpedonte (valutato all’epoca 53 milioni di lire), esposto a partire dal 1973 nella sala della ceramica greca del Metropolitan Museum of Art di New York, oppure i Marmi policromi di Ascoli Satriano, entrati a far parte della collezione del J. Paul Getty Museum di Los Angeles, oggi esposti nella città pugliese, per non parlare della Defixio di Selinunte (maledizione iscritta su lamina di piombo, Ndr) o della Dea di Morgantina.
In quest’ultimo caso, si è ritenuto opportuno ricollocare la colossale statua di culto (rimpatriata da Los Angeles), gli altri acroliti marmorei tardo arcaici (già esposti nel museo della University of Virginia) e un servizio in argento (acquistato illegalmente dal Metropolitan Museum of Art di New York) nel piccolo Museo Archeologico di Aidone, in provincia di Enna.
Parallelamente a questa azione all’estero, è stato recentemente istituito dal ministro Franceschini il Museo dell’Arte salvata ospitato nell’Aula Ottagona o Planetario delle Terme di Diocleziano, parte del Museo Nazionale Romano: sono qui esposti gli oggetti recuperati dal traffico illecito, in transito verso la loro destinazione finale, vale a dire il «luogo di origine».
Nel dicembre scorso ho avuto modo di apprezzare l’impegno e il lavoro svolto dall’Arma per il nostro patrimonio culturale: al centro della sala troneggiava il gruppo di «Orfeo e le Sirene», nelle vetrine materiale vascolare greco, etrusco e magnogreco. Osservando alcuni materiali, tuttavia, è possibile notare che non tutti i pezzi rimpatriati sono di buona fattura: impressione confermata analizzando l’elenco di 60 pezzi restituiti allo Stato italiano, per un valore di oltre 20 milioni di dollari, presentati a Roma il 23 gennaio scorso.
Eppure, a un’osservazione più accurata di questi materiali archeologici, ci si accorge che una buona percentuale è costituta da falsi, facilmente riconoscibili. Solo a titolo esemplificativo, si possono menzionare l’anfora nicostenica databile intorno al 530-500 a.C., il deinos attico a figure nere con cavalieri di età arcaica, la coppa a occhioni con maschera di Dioniso al centro (500 a.C.), il chous attico (piccola brocca) a figure rosse con un giovane seduto su un altare e databile intorno alla metà del V secolo a.C.
Nello specifico, per esempio, possiamo notare che la coppa a occhioni presenta uno strano motivo degli occhi, privi delle lunghe caruncole lacrimali, caratteristiche di questa tipologia vascolare; anche la maschera dionisiaca è semplificata con graffiti cursori e imprecisi, oltre a un piede non convenzionale attaccato malamente alla vasca. Anche la coppa attica tipo band-cup con sfingi ai lati della seconda metà del VI secolo a.C. presenta i due mostri laterali in una posa totalmente sbagliata (quadrupedia) e mai attestata sui vasi greci e nell’arte di età arcaica!
Soffermandosi sul deinos attico, gli elementi diagnostici a favore della non genuinità del pezzo sono sia di ordine tettonico, che di tipo tecnico, che di ordine stilistico-iconografico: sebbene imiti prototipi metallici, questo vaso presenta un sostegno particolarmente tozzo che non trova confronti con vasi noti. Da un punto di vista tecnico, inoltre, il falsario esagera con il graffito per definire la criniera del cavallo, il collo e il ventre, le costole e la muscolatura; quanto all’ultimo aspetto, non esistono nel repertorio della ceramica greca (non solo in quella attica) raffigurazioni della gualdrappa gettata sulla groppa dell’animale su cui siede il cavaliere nudo.
Elementi che depongono a favore di un’opera di un falso e non di un vaso antico genuino.Pur condividendo i principi etici del rimpatrio del patrimonio culturale sottratto illecitamente, risulta meno congruo l’investimento di risorse ed energie nel recupero di antichità false acquistate sul mercato nero, soprattutto perché queste supposte opere non verranno mai esposte nei musei italiani (si spera!) e, se conservate nelle istituzioni museali, andranno a costituire un vero e proprio ingombro all’interno dei depositi. Che fine faranno?
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