Il mondo dell’arte si è fatto sentire durante la pandemia e tutti sappiamo che quando la condizione umana vive periodi estremi, la creatività funge da grimaldello, da codice per decriptare la storia. Non solo la produzione artistica ha affrontato il tema, ma sono tante anche le iniziative di charity che hanno raccolto fondi e quelle che hanno denunciato gli aspetti più duri. Uno di questi aspetti è dibattuto troppo poco: l’Istat ci fa sapere che durante il lockdown le chiamate al 1522, servizio pubblico promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri che funge da numero antiviolenza e stalking, sono aumentate del 73%.
Ecco allora che la Fondazione Molise Cultura e l’Università degli Studi del Molise scelgono di far ripartire la stagione delle mostre con il progetto «Womahr - Women Art Human Rights for Peace»: 24 artiste e artisti che con medium diversi hanno dato voce a questa emergenza. I linguaggi dell’arte contemporanea possono rappresentare infatti un importante strumento di approfondimento e di comunicazione delle questioni che interessano l’Agenda Donne, Pace e Sicurezza, strumento dell’Onu che mette al centro proprio i diritti umani delle donne.
L’esposizione di Palazzo Gil a Campobasso (aperta fino al 24 luglio), curata da Lorenzo Canova e Piernicola Maria di Iorio, vede alternarsi opere di Giovanni Albanese, Alì Assaf, Lucilla Catania, Marco Colazzo, Kim Dingle, Thalassini Douma, Stefania Fabrizi, David Fagioli, Giosetta Fioroni, Paola Gandolfi, Debora Hirsch, Grazia La Padula, Giancarlo Limoni, Vincenzo Merola, Adriano Nardi, Massimo Orsi, Giorgio Ortona, Salvatore Pulvirenti, Roxy in the Box, Virginia Ryan, Sandro Sanna, Beatrice Scaccia, Sana Tamzini, Marco Verrelli.
Entrando nella mostra è forte la sensazione di un allestimento audace, che isola le opere per trasmettere il silenzio e il senso di solitudine delle migliaia di donne che ogni anno subiscono violenza. C’è posto per la storia nella mostra Womahr: l’artista Roxy in the Box presenta per esempio un’opera dedicata alla grande cantante Ria Rosa che, grazie alla sua voce straordinaria, ha unito Napoli a New York imponendo la sua indipendenza di donna e il suo talento combattendo gli stereotipi di genere che dominavano il mondo musicale e dello spettacolo della sua epoca, una vera e propria femminista ante litteram che ha saputo sfidare e vincere i pregiudizi e le discriminazioni di una cultura patriarcale.
E ancora nel segno dell’emancipazione è la fotografia della reporter greca Thalassini Douma, che ritrae una donna anziana e sorridente, immagine di saggezza e di speranza di un mondo rinnovato da uno sguardo femminile per superare povertà, conflitti e discriminazioni. La decana del progetto è però Giosetta Fioroni: antesignana delle ricerche sull’infanzia e sull’identità di genere di molte giovani artiste non solo italiane. La visione di Giosetta Fioroni, sospesa tra fiaba e realtà, rappresenta la punta di diamante di questa mostra, un simbolo per tutte le bambine e tutte le donne del mondo che hanno il diritto di realizzare la propria identità e di affermare la propria libertà creativa senza ostacoli o prevaricazioni.
La mostra sarà visibile fino al 24 luglio a ingresso gratuito ed è bello sapere che la cultura riparte dall’impegno contro una delle più insopportabili piaghe sociali del nostro tempo: OEJ agency è al lavoro per realizzare un documentario sull’iniziativa, che verrà presentato nella seconda tappa della mostra, ma ancora non è svelato dove questa verrà realizzata.