Angelo Venturoli, architetto di notevole spessore intellettuale la cui attività si esplicitò essenzialmente nel territorio emiliano-romagnolo con esiti tali da segnare il volto dei luoghi in cui si trovò a operare, va ricordato forse ancor più per la sua attitudine alla filantropia, che nei secoli ha concesso a molti artisti di esplicare il proprio talento. Era nato nel 1749 a Medicina, piccola città che dovette lasciare all’età di sette anni perché la madre vedova, mossa da povertà, decise di trasferirsi a Bologna, a casa di un parente, don Luigi Dardani, che avviò il fanciullo alle arti del disegno. Dal 1759 al 1772 fu studente presso l’Accademia Clementina di pittura, scultura e architettura per poi scegliere di dedicarsi a quest’ultima in cui si affermò assai presto per le doti di eleganza e armonia del suo stile. Il clero e la nobiltà di Bologna rimasero conquistati dal suo neopalladianesimo e dalla misura equilibrata e felice delle realizzazioni condotte secondo la nuova moda neoclassica, che interpretò secondo una solenne misura compositiva adatta alle chiese, ai palazzi di città e alle ville di campagna.
Dunque, se pure di modesta origine, in virtù delle sue capacità e di un carattere versato alla bonomia che gli concesse di passare indenne attraverso gli sconvolgimenti che segnarono il passaggio dall’Ancien Régime e il nuovo ordine di primo Ottocento accumulò un notevole patrimonio, che volle destinare al sussidio di quanti, come era stato per lui, si trovavano in condizioni di indigenza in gioventù. Nel 1820, un anno prima della scomparsa, destinò i suoi beni alla fondazione di un collegio per giovani artisti, affidando l’esecuzione del magnifico progetto al marchese Antonio Bolognini Amorini, che sarà il suo biografo, e al conte Luigi Salini e a Carlo Savini, tre abilissimi amministratori che individuarono la sede nell’ex-collegio illirico-ungarico, un palazzetto del XVII secolo in prossimità dell’Accademia di Belle Arti, furono in grado di aprire. Nel 1825 fu inaugurata il Collegio artistico Venturoli che offriva a fanciulli con inclinazione per l’arte vitto, alloggio e istruzione. I primi docenti furono Giacomo De Maria per la scultura e Pietro Fancelli per la pittura, amici e ottimi sodali del Venturoli, che hanno lasciato prove della loro arte in sede; si sono quindi susseguiti professionisti delle arti del disegno.
L’esposizione «Lo sviluppo del talento», in corso fino al 15 giugno a cura di Dante Mazza nell’ambito dell’iniziativa «Il lungo Ottocento» aperta in più sedi a Bologna e nel bolognese, presenta prove precoci (i collegiali erano ospitati dai 12 ai 20 anni) di artisti destinati alla fama: Luigi Busi, Raffaele Faccioli, Luigi Serra, Giovanni Masotti e altri, tra i quali Filippo Buriani, scomparso all’età di sedici anni, le cui prove sono di qualità sorprendente. Il catalogo svela tempi e modi della vita dei giovani tra lezioni e svaghi all’interno delle accoglienti mura del Collegio, luogo di eccellenza che tolse dalla miseria talenti altrimenti destinati a non sbocciare. Commuovono, nei documenti d’archivio che sono testimonianze utili anche alla storia sociale della città, i ricordi delle gite fuori porta, le descrizioni dei pranzi di Natale, l’attenzione a procurare un abbigliamento caldo e consono all’importanza del Collegio.
L’istituzione è sopravvissuta nel tempo, superando gli sconvolgimenti delle due guerre mondiali, l’uso emergenziale dell’edificio per ospitare profughi friulani dopo Caporetto e sfollati durante l’ultimo conflitto, mantenendo nonostante tutto la vocazione assistenziale ed educativa. Dal 1992 il Collegio ha assunto la natura di personalità giuridica privata con la denominazione Fondazione Collegio artistico Venturoli. L’edificio, sottoposto a un rigoroso restauro in parte ancora in corso, conserva un ingente patrimonio di opere d’arte, documenti, materiale didattico (splendidi il manichino snodabile del XVIII secolo, i molti strumenti scientifici, gli esempi di tassonomia), una raccolta di oltre 1.300 disegni, i faldoni di lettere dell’architetto, la sceltissima biblioteca di testi d’arte e la preziosa collezione dei marmi, 615 esemplari di provenienze le più diverse anche da cave ormai estinte, riuniti con spesa non modica come rileva nel testamento Angelo Venturoli e custoditi in armadi a vista.
Nel nuovo migliorato assetto degli spazi la magnifica gipsoteca affaccia sul giardino all’italiana in cui vengono coltivate le medesime piante di quando fu istituito, le sale d’esposizione e gli studi dei borsisti. Sì, perché la Fondazione, che dal 1826 conta sui soli suoi mezzi, non ospita più giovani artisti in collegio, ma elargisce borse di studio e concede i locali per lavorare, mantenendo così viva, dopo quasi duecento anni, la vocazione etica auspicata dal fondatore. Una storia esemplare.