«Mare» (2023), di Aria Dean. Foto: Simon Veres. Cortesia dell’artista e di Progetto, Lecce.

Image

«Mare» (2023), di Aria Dean. Foto: Simon Veres. Cortesia dell’artista e di Progetto, Lecce.

Aria Dean ci obbliga all’autoanalisi

Da Progetto, a Lecce, la prima personale italiana dell’artista e scrittrice americana, che interroga sui rapporti di subordinazione tra esseri viventi all’interno di sistemi chiusi

Le parole del foglio di sala, ai piedi di un rettangolo di marmo, sono il primo elemento con cui i visitatori entrano in contatto nel nuovo episodio espositivo in programma fino al primo novembre da Progetto a Lecce. Varcata la soglia, i guaiti di un cane accolgono i primi passi all’interno del piano nobile di un palazzo del XVI secolo. Questo richiamo, singhiozzante e ossessivo, si propaga nello spazio della galleria fondata da Jamie Sneider, artista statunitense che dal 2018 la dirige e cura proponendo una ricercata selezione di artisti internazionali. Non si tratta di un’interferenza esterna, proveniente dalla strada: è l’audio di un’opera inclusa nella prima personale italiana di Aria Dean (1993), artista e scrittrice, divisa per lavoro tra New York e Los Angeles, interessata a dinamiche di controllo sociale, oppressione economica e rappresentazione della blackness. I suoi scritti sono stati pubblicati su «Artforum», «e-flux journal», «Texte zur Kunst» e «November», di cui è redattrice e fondatrice; le sue opere esposte in istituzioni oltreoceano come la Renaissance Society di Chicago, il Greene Naftali di New York, l’Hammer Museum di Los Angeles e la Biennale del Whitney Museum (2022).

I motori di ricerca dello statementdi Aria Dean si azionano anche in «Wolves»: la mostra è ritmata dalla presenza di 8 opere, 1 videoinstallazione e 7 sculture realizzate in ferro battuto e pietra leccese con la collaborazione di maestranze locali. Adagiato ora a terra ora a muro, ogni manufatto crea connessioni in grado di attivarsi con la presenza dello spettatore, la cui partecipazione diventa un elemento indispensabile alla loro funzione. Insiste su dinamiche di potere incarnate da misteriose presenze ferine che aleggiano nello spazio espositivo, come ci ricorda il titolo, manifestandosi tra sottili indizi e salti logici.

Al pari di un ordito, nella narrazione di «Wolves» si assiste a un dritto e a un rovescio: se nel fronte restano ben leggibili i tratti di un bestiario alla Esopo, nel retro emerge un’intricata struttura di rimandi e sottotesti in cui i toni della fiaba sfumano nel tragico, come presagi di sventura. Le figure rappresentate hanno perso la loro forza totemica, fagocitate da logiche capitaliste. Si trasformano in icone e corpi vulnerabili, al punto tale da apparire bidimensionali o in alcuni casi sparire, come in un’impossibilità di rappresentazione.

È la sensazione che si prova davanti a «Mare» (2023), ad esempio, che si scorge accendendo alla prima sala della galleria. Posta su un bancale, racchiude l’effige liquefatta di una cavalla. Giocando sulla doppia significazione del titolo in italiano e in inglese, il modellato in 3D non è qui per essere visto come un reperto antico, classico, bensì come merce da movimentare. Languisce sul pavimento a mosaico dello spazio tra stratificazioni di imballaggi: immagine che risuona come status consumistico, più che nel suo carattere archetipico. Un antimonumento.

Continua con una serie di sculture in ferro, poste come punti cardinali nella sala mediana del percorso. Evoca un gregge, contrassegnato da giochi di parole e nomi di fantasia. La loro forma richiama la dimensione di una collettività perduta e muta che, sorprendentemente, fa la sua apparizione nella stanza successiva con «Wolves» (2023). Una notte artificiale invade quest’ultima sala per permettere la visione del film. Una camera fissa porta lo spettatore dentro all’addiaccio, ovvero lo spazio in cui il bestiame si raduna al tramonto, protetto da un cane pastore che abbaia al minimo rumore e movimento. Mentre si assiste al video, appoggiati a una scultura che richiama le tipiche ringhiere dell’architettura domestica, si è in dubbio se sia lo stesso spettatore il «lupo», la presenza da scacciare.

Come in un gioco di specchi, l’opera attiva una narrazione che obbliga prima di tutto all’autoanalisi, richiamando a un atto di presenza e responsabilità personale. Lontano dalle atmosfere edulcorate della comunicazione turistica, nel paesaggio della masseria del Sud Italia l’artista americana legge un sistema di forze e fenomeni (architettonici, zoologici e sociali) che rinviano al clima di forte tensione vissuto oltreoceano. «Wolves» non porta con sé messaggi ottimistici: scevra da intenti retorici ci e si interroga sui rapporti di subordinazione tra esseri viventi all’interno di sistemi chiusi, senza mai cadere nella logica buono / cattivo e le facili dicotomie. Difatti nel foglio di sala si legge: «Una pecora vede a 360 gradi, mentre un cane può vederne circa a 240 […]. Il cane non può vedere tanto quanto la pecora […], forse questo potrebbe significare che il cane possiede intuizione e immaginazione mentre la pecora, vedendo tutto, non possiede nulla di tutto ciò».

«La mostra è nata quattro anni fa per poi essere rimandata a causa della pandemia, racconta Jamie Sneider durante la visita, riportando così alla mente tempi in cui un virus ha ristretto ancora di più gli spazi di azione aumentando quelli del controllo sociale. Sono felice che Aria Dean, attraverso questo invito, sia venuta in Puglia per fare ricerca e produrre. Aria ha letto molto mentre era qui. Abbiamo registrato video, lavorato la pietra locale. Abbiamo spesso dialogato su temi politici, economici, sociali, su agricoltura e altro ancora. Gli artisti di solito arrivano a Lecce con idee, piani di ricerca e poi, nel corso delle settimane di permanenza, la loro traiettoria, i loro interessi a volte cambiano. L’etica di Progetto è la sperimentazione, l’apertura». Caratteri che si riscontrano pienamente nell’impianto di «Wolves», in cui le opere tessono tra natura e persone una nuova trama di relazioni rendendo porosi i confini tra umano e non umano per spalancare le possibilità interpretative e gli strumenti di lettura del reale.

La mostra, in via Idomeneo 72, è aperta tutti i giorni su appuntamento. progettospace.com

«Mare» (2023), di Aria Dean. Foto: Simon Veres. Cortesia dell’artista e di Progetto, Lecce.

Valeria Raho, 10 ottobre 2023 | © Riproduzione riservata

Aria Dean ci obbliga all’autoanalisi | Valeria Raho

Aria Dean ci obbliga all’autoanalisi | Valeria Raho