Situato al margine esterno dei Giardini, il Padiglione della Polonia risale al 1932, quando, tra le due guerre, la Seconda Repubblica polacca si stava avvicinando alla sua fatidica fine. Sette anni dopo, l’invasione nazista inaugurò un periodo che si sarebbe rivelato il più distruttivo della storia polacca. Se non fosse stato per il cambio di Governo verificatosi alla fine dell’anno scorso, il Padiglione polacco avrebbe allestito una mostra del pittore Ignacy Czwartos (1966) che ripercorreva «la tragica storia del XX secolo» e la posizione della Polonia tra «i due sanguinari totalitarismi» della Germania nazista e della Russia sovietica.
Lo scorso ottobre, sotto gli auspici del precedente Governo di destra della Polonia, Czwartos è stato selezionato per rappresentare il Paese da una giuria presieduta da Janusz Janowski, direttore della Galleria Nazionale d’Arte Zachęta di Varsavia, che funge da custode del Padiglione polacco. Con l’arrivo del Governo di coalizione centrista di Donald Tusk, però, le cose sono cambiate. In primo luogo, Janowski è stato rimosso dal suo incarico presso la Zachęta, e il suo licenziamento è stato subito seguito dalla notizia che il progetto di Czwartos era stato scartato per essere sostituito dal progetto di riserva, un’installazione video del collettivo Open Group.
Oltre i confini della Polonia
Pur avendo Czwartos dichiarato che il suo progetto aveva rilevanza «sia per il passato sia per il presente», compresa la guerra in Ucraina, nella comunità artistica polacca molti si sono opposti con veemenza alla sua nomina, sostenendo che il suo lavoro fosse eccessivamente interessato a ritrarre la Polonia come un Paese storicamente vittima di forze esterne. Open Group ha invece spostato l’attenzione oltre i confini della Polonia, esplorando l’esperienza ucraina della guerra in una mostra che, secondo il gruppo, «ci unisce come vicini».
Organizzata dalla storica dell’arte e curatrice polacca Marta Czyż, la nuova mostra ideata per la Biennale di Venezia, «Repeat After Me II», amplia il lavoro originariamente completato nel 2022 dai tre membri principali di Open Group, Yuriy Biley (1988), Pavlo Kovach (1987) e Anton Varga (1989), tutti nati in Ucraina. Presentata come «un ritratto collettivo di testimoni della guerra in corso in Ucraina», l’installazione propone registrazioni filmate di «rifugiati civili» che danno voce ai «suoni delle armi» che ricordano dalla guerra. Adottando un «formato karaoke», il pubblico è invitato a ripetere i suoni che sente, solo che invece di «canzoni di successo» si tratta dei suoni di «spari, missili... ed esplosioni».
Ispirandosi agli opuscoli del Ministero della Cultura e della Politica dell’Informazione ucraino, che suggeriscono ai cittadini come reagire in caso di attacco da parte di diversi tipi di armi, gli artisti hanno immaginato lo spazio all’interno del Padiglione polacco «come un luogo d’incontro in cui, in un’atmosfera rilassata, gli spettatori possono vivere l’esperienza della guerra e forse acquisire conoscenze che un giorno potrebbero tornare utili. Un’ombra apocalittica è innegabile anche in questo lavoro, e stiamo preparando gli spettatori a uno scenario futuro in cui questi “karaoke bar” diventeranno la norma».
Fondato a Leopoli nel 2012 da Biley, Kovach, Varga e altri tre artisti, Open Group affronta il tema della guerra dal 2014, quando l’esercito russo ha iniziato il suo intervento nell’Ucraina orientale. Interessati a suscitare la «cooperazione tra spettatori e partecipanti», il loro lavoro esplora «l’interazione tra persone e contesto, creando situazioni aperte».
«La realizzazione del Padiglione polacco è il risultato di un’attrazione per la pratica del collettivo, ma anche di un’enorme fiducia nel fatto che si tratta di artisti la cui arte è in grado di cambiare la realtà, toccando argomenti difficili che trasmettono in modo potente ma anche molto toccante, ha affermato la curatrice, che ha incontrato il gruppo per la prima volta nel 2019. Non avrei potuto immaginare di presentarmi a Venezia con qualcuno che non fossero loro».
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