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Sandra Romito
Leggi i suoi articoliCecil Beaton fu il primo fotografo ad avere una retrospettiva in un museo nazionale britannico: «Beaton Portraits 1928-68», organizzata alla National Portrait Gallery di Londra nel 1968, ebbe un successo enorme, e ci si aspetta un uguale entusiasmo da «Cecil Beaton’s Fashionable World», inaugurata oggi, 9 ottobre, nella stessa istituzione londinese (fino all’11 gennaio 2026).
Attraverso circa 250 opere, fotografie ma anche libri, riviste, abiti, disegni e video, l’esposizione si concentra sul ruolo centrale che Beaton ha rivestito nel rinnovamento della fotografia di moda, elevandola a forma d’arte. La mostra si sviluppa negli spazi espositivi al piano terra del museo, articolandosi in 13 piccole e piacevolissime sezioni che seguono abbastanza fedelmente la cronologia del maestro. Fa eccezione la prima, «Gallery of Beauties», che miracolosamente raccoglie le sedici grandi stampe alla gelatina d’argento sopravvissute dalla mostra del 1968 e ritrovate nel The Cecil Beaton Studio Archive: scatti eseguiti in anni diversi, ma tutti prima del 1936, che raccontano un’epoca sofisticata e magnifica.
Londinese, di famiglia medio borghese, Cecil Beaton ebbe una vita per nulla scontata all’interno di un sistema di classe, quello inglese, tra i più rigidi. Nato nel 1904, sin da piccolissimo assorbì tutta l’eleganza dell’epoca edoardiana, una raffinatezza che accompagnerà sempre il suo lavoro. I suoi primi scatti, qui ve ne sono diversi, sono ritratti della madre e delle sorelle in posa, a testimonianza di una passione veramente precoce per lo strumento fotografico. Lui stesso ci dice come in quegli anni i suoi giorni fossero un misto di «meraviglia e sorpresa»: questa sensibilità si unì a una innata capacità di cogliere il dettaglio e, come tutti i fotografi, la sua grande benedizione fu la curiosità unita a energia e determinazione.
In queste prime fotografie, l’autodidatta Beaton, magari non completamente a suo agio con lo strumento, mascherò le sue deficienze tecniche con l’uso di stoffe, fiori e vari oggetti di scena, quasi si trovasse su un palcoscenico, riuscendo a trasformare madre e sorelle (in particolare la bellissima Baba) in divinità. In realtà mai avrebbe pensato di diventare fotografo, era il suo modo per catturare la teatralità delle situazioni che lui stesso creava: il teatro era quello che veramente lo attirava.
Durante gli studi a Cambridge, la sua creatività fluì con grande libertà. Fu lì che strinse le prime amicizie che lo portarono a fotografare l’alta società britannica e ad avere i primi rapporti con «Vogue». Era parte dei «Bright Young Things», un gruppo di giovani mondanissimi, molti di loro aristocratici e noti all’epoca per le straordinarie feste, i balli in costume, le cacce al tesoro notturne. Beaton li ritrasse con gusto, e divenne amico di molti di loro: in particolare Stephen Tennant ed Edith Sitwell gli permisero di entrare in un mondo eccentrico, raffinatissimo, folle e certamente lontano dalla vita borghese della sua infanzia. E scrisse proprio nei suoi diari della sua «ambition to break out of the anonymity of a nice, ordinary, middle-class family»: la sua missione era creare un personaggio che avrebbe impersonato per sempre all’interno di una classe sociale in cui non era nato ma era pienamente accettato.
La sua carriera di fotografo decollò già verso la metà degli anni Venti, e nel 1927 una sua mostra a Mayfair lo consacrò come il principale fotografo di moda e ritrattista a cui rivolgersi da entrambe le sponde dell’Atlantico: aveva 23 anni e già tutti volevano i suoi scatti. Beaton amava moltissimo la notorietà, era certamente snob e si muoveva con agio tra Londra, Parigi, New York e Los Angeles, ritirandosi poi nella campagna del Wiltshire dove da gentiluomo riceveva e intratteneva ospiti illustri (si veda la sezione «In Arcadia»).
Ormai ufficialmente con «Vogue», sebbene con certi fraintendimenti, nel luglio 1939 fu chiamato da Buckingham Palace per fotografare Elisabetta, la Regina Madre, immagini idilliache che cambiarono la percezione della monarchia e lo proiettarono verso altre direzioni. Quello che lui stesso considerò il suo lavoro più significativo fu infatti di poco successivo quando durante la Seconda guerra mondiale fu nominato fotografo ufficiale dal Ministero dell’Informazione per documentare l’impatto del conflitto: fu infaticabile, e scattò immagini di grande potenza, da ritratti di Churchill a quelli delle vittime del Blitz, alle scene dal fronte viaggiando in Nord Africa, Medio ed Estremo Oriente. Sempre con quel suo stile unico, che trasuda amore per il teatro, attenzione al dettaglio e grande raffinatezza anche nella tragedia. Sua fu la copertina di «LIFE Magazine» con la piccola Eileen Dunne, «Age of Innocence», in un letto di ospedale, ferita durante il Blitz e aggrappata al suo orsetto di pezza: immagine di straordinaria intensità usata per raccogliere fondi in America e sensibilizzare l’opinione pubblica d’Oltreoceano.
Le sue fotografie degli anni successivi alla guerra testimoniano la sofisticata eleganza che si andava imponendo tanto in Europa che in America: è attraverso i suoi scatti che ricordiamo figure leggendarie, Elizabeth Taylor, Audrey Hepburn e Marilyn Monroe, Elisabetta II e la Duchessa di Kent. Forse anche la moda stessa si adattava ai suoi scatti, seguendo le sue scelte estetiche, anche se di lì a poco il lavoro di Penn e Avedon rese le sue raffinate costruzioni barocche obsolete. Memorabili di questi anni rimangono le immagini degli abiti da sera indossati davanti a dipinti di Jackson Pollock, una di queste scelta per la copertina del catalogo.
La fine del contratto con «Vogue» gli permise di dedicarsi con vigore alla sua più grande passione, quella per il teatro: se mai Beaton avesse avuto un rimpianto (non aveva tempo per cose simili) è di non essere rimasto sul palcoscenico. La mostra si chiude quindi con la sua attività come costumista e scenografo, ancora una volta ad altissimo livello e per la quale vinse ben tre Oscar. Per «My Fair Lady» (1964), in particolare, curò i costumi sia per il teatro che per il cinema, vestendo Julie Andrews e la sua grande amica Audrey Hepburn.
Beaton lavorò per «Vogue» per almeno trent’anni, e giustamente il curatore della mostra è Robin Muir, contributing editor di «British Vogue». Il catalogo, edito dalla National Portrait Gallery Publications, accompagna la mostra che da Londra poi si sposterà in California, al San Diego Museum of Art (4 luglio 2026-10 gennaio 2027): raffinatissimo nella scelta di un rosa romantico che Beaton avrebbe amato moltissimo, si apre con due brevi scritti di Hamish Bowles e Robin Muir, e prosegue illustrando tutte le sezioni in cui si divide l’esposizione.

Audrey Hepburn fotografata da Cecil Beaton nel 1963 con il costume di «My Fair Lady». The Cecil Beaton Studio Archive, Londra

Cecil Beaton in un autoritratto del 1935 circa. The Cecil Beaton Studio Archive, Londra