La straordinaria vivacità artistica e culturale che visse e caratterizzò la Repubblica aristocratica di Genova tra il XVII e il XVIII è celebrata nel capoluogo ligure con la mostra «La forma della meraviglia. Capolavori a Genova 1600 – 1750» (allestita fino al 10 luglio nell’Appartamento del Doge di Palazzo Ducale), ma anche dal progetto «I Protagonisti. Capolavori a Genova 1600 - 1750» coordinato da Raffaella Besta e Margherita Priarone, in dialogo con la mostra di Palazzo Ducale e composto da undici rassegne monografiche dedicate a specifici artisti e ad alcune produzioni che caratterizzarono il gusto di quell’epoca.
Il tutto rientra nel «Progetto Superbarocco» ed è quindi in stretta connessione con la mostra «Superbarocco. Arte a Genova da Rubens e Magnasco», in corso alle Scuderie del Quirinale di Roma fino al 3 luglio, organizzata con la National Gallery of Art di Washington e i Musei di Genova.
Allestite in musei, chiese e palazzi storici dislocati all’interno del vasto tessuto cittadino, le mostre mirano, nella loro completezza, a ricordare quei maestri del Barocco locale e internazionale quali Pieter Paul Rubens, Antoon van Dyck, Pierre Paul Puget, Bernardo Strozzi, Valerio Castello che contribuirono, nel corso del Secolo d’oro dei Genovesi, ad apportare un nuovo straordinario impulso alla cultura figurativa della Superba.
A Genova la ricerca della meraviglia, la tensione allo stupore e all’estasi proprie dell’estetica barocca si esplicano, grazie alla committenza della potente aristocrazia cittadina, non solo nella coinvolgente e grandiosa dimensione dell’affresco, ma anche attraverso la raffinata e preziosa produzione di manufatti e oggetti decorativi di cui è possibile ammirare pregevoli esempi in alcune sedi espositive.
Uno dei maggiori esponenti del barocco genovese è stato Orazio De Ferrari. La mostra «Omaggio a Orazio De Ferrari (1606 - 1657)» presso il Museo dell’Accademia Ligustica di Belle Arti (sino al 31 luglio), curata da Piero Donati e Giulio Sommariva, propone un nucleo di opere inedite o poco conosciute e il pregevole dipinto «Sant’Agostino lava i piedi a Cristo in sembiante di pellegrino», conservato nelle collezioni dell’Accademia.
Diversi sono i dipinti provenienti da collezioni private non genovesi: tra essi spicca la pala d’altare di San Pietro di Tenda, firmata e datata 1640, i cui toni decisi e vibranti, propri della tradizione coloristica nordica assorbita da De Ferrari attraverso la lezione di Rubens e Van Dick, sono stati riportati alla loro potenza espressiva originaria grazie ad un restauro realizzato in occasione della mostra.
A Palazzo Bianco le conservatrici Raffaella Besta e Margherita Priarone propongono le opere di Gregorio De Ferrari e Gioacchino Assereto (in due mostre che terminano il 25 luglio). Massimo esempio del ricercato linguaggio stilistico del Barocco ligure Gregorio De Ferrari fu disegnatore, pittore e frescante al servizio delle più importanti famiglie patrizie della città per le quali progettò non solo le suntuose decorazioni parietali che ancora oggi adornano gli ambienti di diversi palazzi del centro storico, ma anche mobili, elementi d’arredo, altari e cornici la cui realizzazione venne affidata a scultori e intagliatori che orbitavano intorno alla bottega del suocero, Domenico Piola.
Organizzata per aree tematiche, l’opera di Gregorio De Ferrari comprende disegni e bozzetti dalle aggraziate figure rappresentate in pose teatrali e statuarie e definite da un tratto sinuoso e da una limpidezza e luminosità del colore che anticipano il gusto e la sensibilità settecentesca.
Sono esposti esclusivamente per l’occasione alcuni esemplari provenienti dal Gabinetto Disegni e Stampe di Palazzo Rosso: preziose opere su carta, realizzate con diverse tecniche pittoriche, che per loro fragilità possono essere raramente, e per brevi periodi di tempo, esposte al pubblico.
La mostra su Gioacchino Assereto invece è incentrata sull’intera produzione dell’artista genovese, i cui dipinti sono presenti in diverse collezioni spagnole, a testimonianza degli stretti legami e dei continui scambi commerciali che intercorrevano tra la Superba e la Spagna. Le raccolte dei Musei di Strada Nuova comprendono alcune tra le opere più rappresentative dell’artista e della sua carriera, dai dipinti giovanili in cui appaiono ancora evidenti le suggestioni manieriste dei maestri genovesi, quali Bernardo Strozzi e Andrea Ansaldo, alle opere che combinano suggestioni vandyckiane e caravaggesche e in cui la lezione del naturalismo lombardo del Morazzone e di Giulio Cesare Procaccini si evolve in una più matura e personale ricerca di realismo.
Soprannominato dal Longhi «il pittore delle mani», Assereto manifesta la sua propensione alla pittura naturalista attraverso una resa attenta e puntuale degli arti dei personaggi che popolano le sue opere, protagoniste a Palazzo Bianco. Tra queste spiccano «Servio Tullio con la chioma in fiamme» e «Agar e l’Angelo», dipinto restaurato appositamente per la mostra.
Il nucleo delle opere del museo risulta arricchito dai numerosi prestiti provenienti da collezioni private tra cui particolarmente significativo risulta il ritratto del Re Alfonso VII di Castiglia, opera in cui la tendenza al realismo e all’attenzione al dettaglio dell’Assereto si manifestano compiutamente. Sempre nel contesto museale di Palazzo Bianco la mostra «Superbe Maioliche» (sino al 10 luglio), curata da Loredana Pessa, presenta al pubblico la stagione più importante della maiolica ligure, una produzione di altissima qualità che fu per secoli oggetto di una massiccia diffusione sia in Europa sia nel Nuovo Mondo.
Particolarmente apprezzati e ricercati dall’aristocrazia cittadina, i manufatti ceramici realizzati a Genova, Savona e Albisola, in epoca barocca raggiunsero livelli di eccellenza grazie alla realizzazione di esemplari di pregevolissima fattura che arricchirono le collezioni delle dimore patrizie. Il percorso espositivo, che si sviluppa attraverso l’avvicendarsi di ceramiche, argenti, disegni, libri e dipinti mira ad illustrare la storia della maiolica in Liguria tra il Seicento e i primi decenni del Settecento, esplorandone il rapporto con le coeve espressioni artistiche, gli scambi con gli altri centri di produzione ceramica presenti sul territorio nazionale e analizzando l’utilizzo e la fruizione dei manufatti ceramici nelle cerimonie e nei riti quotidiani all’interno delle corti e delle famiglie aristocratiche.
Le Gallerie Nazionali di Palazzo Spinola con la rassegna «Ansaldo Pallavicino e Grechetto: le origini di una collezione», curata da Gianluca Zanelli (sino al 10 luglio), indagano lo stretto rapporto tra Giovanni Benedetto Castiglione detto il Grechetto (Genova, 1609 - Mantova, 1664), di cui Palazzo Spinola ha in collezione cinque tele, e Ansaldo Pallavicino, proprietario del palazzo dal 1650, che per l’artista ebbe una particolare predilezione.
Tra le opere acquisite da Pallavicino, sono presenti due dipinti che tornano nel palazzo in occasione del «Progetto Superbarocco». Gli ambienti della dimora ritrovano dunque nuovamente i dipinti del pittore genovese che contribuì, con il suo linguaggio eclettico frutto dell’incontro e della mediazione con la scuola romana, a rendere la Superba uno dei più vivaci centri di propulsione della pittura barocca in Europa.
Attraverso ognuna delle tele esposte, di dimensioni molto diverse tra loro, è possibile ammirare le differenti declinazioni dello stile e della maniera del Grechetto, dalle ampie e vibranti campiture di colore del monumentale «Viaggio di Abramo» alle veloci e guizzanti pennellate delle più piccole opere di paesaggio. La straordinaria produzione di oggetti ed elementi decorativi secenteschi in Liguria viene messa in luce dalla mostra «Adorna d’oro d’argento e di seta»curata da Grazia Di Natale e Paola Martini al Museo Diocesano (sino al 10 luglio).
Arredi e paramenti tessili di pregevole fattura, così come suntuose oreficerie e suppellettili abitualmente conservati nelle sacrestie delle chiese del centro cittadino, trovano una nuova collocazione all’interno delle sale del museo. L’esposizione, realizzata in collaborazione con l’Ufficio Beni Culturali dell’Arcidiocesi, traccia la storia e l’evoluzione delle pratiche liturgiche in uso a Genova tra Sei e Settecento.
Apparati tessili, manufatti in oro e argento e vasi liturgici realizzati in città, con il marchio di identificazione «Torretta», evidenziano il contributo del clero e delle più potenti famiglie aristocratiche nelle arti tessili e nell’oreficeria.
Al Museo di Palazzo Reale la mostra «Filippo Parodi, le Metamorfosi», a cura di Luca Leoncini (sino al 10 luglio), è dedicata alle quattro sculture dell’artista genovese che, secondo una tradizione critica consolidata, raffigurano quattro personaggi della mitologia classica, Venere, Adone, Clizia e Giacinto.
Collocate sopra dei piedistalli ed esposte nella Galleria degli Specchi sin dalla prima metà del XVIII secolo, tali statue in marmo bianco, con tracce di doratura, in occasione dell’esposizione, sono state poste al centro di uno dei saloni, agli angoli di una struttura progettata dall’architetto Giovanni Tironi che ne permette la fruizione attraverso una nuova prospettiva.
Le opere, probabilmente pensate per un giardino, come suggerisce la presenza di decorazioni floreali, vennero introdotte nella galleria della dimora in Via Balbi dal figlio di Filippo, Domenico Parodi, autore degli affreschi della Galleria degli Specchi commissionati da Gerolamo Durazzo.
Intagliatore e scultore, Parodi si formò a Genova dove ottenne un discreto successo richiamando l’attenzione del pittore Domenico Piola che gli procurò numerosi clienti e lo esortò a trasferirsi a Roma dove entrò in contatto con la bottega del Bernini, di cui poi divenne allievo.
Nelle sue «Metamorfosi» la lezione e l’influenza del maestro napoletano appare evidente non solo per scelta iconografica, ma anche per la dinamicità e il carattere altamente evocativo dei soggetti rappresentati. Palazzo Nicolosio Lomellino dedica l’esposizione «Domenico Parodi. L’Arcadia in giardino», curata da Daniela Sanguineti e Laura Stagno (sino al 31 luglio), al pittore che si distinse tra i principali artefici della decorazione del palazzo di Via Garibaldi.
Autore di alcuni affreschi al secondo piano nobile, Parodi fu anche regista delle scenografiche soluzioni degli spazi esterni che raggiungono il loro apice nel magnifico ninfeo del cortile. Formatosi alla bottega del padre Filippo Parodi e cresciuto a stretto contatto con Domenico Piola, Domenico Parodi ereditò e fece proprie le competenze di entrambi riuscendo a padroneggiare con destrezza le tecniche della pittura e della scultura.
Affermatosi come uno degli artisti più ricercati sia dalle famiglie patrizie della città sia da committenti internazionali di altissima levatura, ebbe tra i suoi estimatori il principe Eugenio di Savoia che gli affidò la realizzazione di una serie di sculture a soggetto mitologico per il Castello del Belvedere di Vienna.
L’esposizione, allestita all’interno degli evocativi spazi del palazzo, ripercorre la produzione dell’artista come scenografo e apparatore di giardini, analizzandone alcune significative tematiche e approfondendo i peculiari caratteri della sua poetica, riscontrabili nel corredo scultoreo del giardino interno del palazzo.
Sempre in via Garibaldi, al numero 4, Palazzo Tobia Pallavicino diventa palcoscenico ideale della mostra «Lorenzo De Ferrari» (sino al 9 luglio), presentando nella splendida cornice della Galleria Dorata una cospicua selezione dei disegni progettuali della volta provenienti dal Gabinetto dei Disegni di Palazzo Rosso.
Affrescata da De Ferrari tra il 1734 e il 1744, la Galleria rappresenta uno dei luoghi più spettacolari e significativi del Settecento genovese. Nel medaglione centrale della volta e nei tondi su tela sono rappresentati episodi tratti dall’Eneide virgiliana inseriti in un apparato di stucchi e arredi presumibilmente progettati da De Ferrari stesso.
La massiccia presenza delle componenti dorate, di spiccato gusto Rococò, arricchisce l’intero spazio fungendo da elemento di raccordo delle diverse sequenze pittoriche. In sinergia con De Ferrari operarono come maestranze Diego Carloni, stuccatore attivo nella decorazione di molti interni di palazzi aristocratici genovesi, l’intagliatore Francesco Tagliafico e Stefano Massa che si occupò della doratura delle superfici.
In occasione della rassegna, vengono esposti al pubblico i disegni e i bozzetti relativi alla progettazione della Galleria, opere su carta semigreggia a fondo colorato in cui si stagliano figure umane tracciate a lapis nero e illuminate da rapide lumeggiature in gessetto bianco. In Piazza Fossatello, Palazzo Andrea Pitto, già Centurione Cambiaso, apre ai visitatori le porte del secondo piano nobile, in cui trionfa la maestosa «Galleria della Giustizia» dipinta sul finire del XVII secolo da uno dei protagonisti del Superbarocco ligure, Bartolomeo Guidobono.
All’interno dell’evento espositivo a lui dedicato (sino al 10 luglio) il pittore savonese rivela nelle sue straordinarie composizioni floreali una vibrante e spregiudicata libertà compositiva. I panneggi delle figure, che affiorano dalla parete prendendo corpo nella plastica dello stucco, determinano una continuità tra spazio reale e spazio dipinto di gusto tipicamente seicentesco.
La vena decorativa di Guidobono trasporta il barocco della Superba verso un arioso rocaille dove i delicati colori pastello e l’illusione prospettica, elementi che caratterizzano la Galleria, anticipano la stagione settecentesca. Infine, la mostra «Pierre Puget e gli artisti di età barocca» (sino al 10 luglio), curata da Annamaria de Mariniall’Albergo dei Poveri, imponente complesso architettonico commissionato da Emanuele Brignole (massima espressione della filantropia genovese), è incentrata sulla figura dello scultore francese Pierre Puget e sulla sua «Immacolata» custodita all’interno della Chiesa dell’Immacolata Concezione.
La statua, che sovrasta l’altare maggiore scolpito dal genovese Francesco Schiaffino, posta simbolicamente nel punto d’incrocio dei quattro bracci della chiesa, costituisce uno dei più paradigmatici esempi della statuaria barocca genovese, di cui Puget fu uno dei principali interpreti.