Riapre i battenti l'8 febbraio presso l’Accademia Nazionale di San Luca a Roma una mostra raccolta e sofisticata, «Raffaello. L'Accademia di San Luca e il mito dell'Urbinate» (già programmata fra 21 ottobre 2020 e 30 gennaio 2021) che nel cinquecentenario della morte del pittore ne analizza l’operato e l’influenza da un punto di vista poco noto al grande pubblico: quello della sua fortuna in ambito accademico, specificatamente romano. Cinque sezioni, quarantacinque opere a coprire un arco cronologico vasto, dalla fine del XVI secolo alla seconda metà del XX (da segnalare, tra le altre, a chiusura mostra, una finissima opera di Achille Funi poco nota al pubblico) ripercorrono quindi non solo il mito di Raffaello e della sua arte insuperabile, del quale la pala con San Luca dipinge la Vergine conservata in Accademia – di attribuzione controversa, conservazione problematica, probabilmente da considerare un pastiche tardo cinquecentesco – è una risultante, ma mostrano come le sue inventive, la sua poetica abbiano avuto un duraturo riflesso anche nell’insegnamento accademico e quindi, sulla formazione degli artisti. Ne parliamo con Valeria Rotili e Stefania Ventra, che insieme a Francesco Moschini, segretario generale dell’Accademia, hanno curato la mostra.
In primis vorrei domandarvi delle ragioni della mostra e di quali criteri vi hanno guidato nella scelta delle opere inserite nel percorso espositivo.
È una lunga e consolidata tradizione dell’Accademia di San Luca quella di celebrare Raffaello Sanzio nei centenari di nascita e morte, quindi intendevamo non interrompere questa prassi e nel contempo osservare la figura e l’opera dell’urbinate da un punto di vista alquanto inaspettato per il pubblico, specialmente dopo la grande retrospettiva delle Scuderie del Quirinale. «Quale» Raffello guardavano gli artisti? Quali opere venivano studiate e riproposte in ambito accademico, in esercitazioni o concorsi sia in pittura che in scultura? Quale ruolo ha svolto l’Accademia nel costruire e consolidare il mito del pittore? Con una rosa scelta di opere abbiamo voluto rispondere, tra gli altri, a questi quesiti.
Ho notato pochi prestiti da altre istituzioni e da privati e con molto piacere ho riscontrato l’esposizione di opere provenienti dai depositi, da decenni non visibili in pubblico e in qualche caso inedite, in alcuni casi restaurate per l’occasione. Una scelta casuale?
Uno degli obbiettivi della mostra è stato proprio quello di far conoscere le ricche raccolte accademiche, che per ragioni di spazio non sono visibili e che in gran copia giacciono nei depositi. Si tratta di un progetto che nasce da una capillare conoscenza del patrimonio artistico dell’Accademia di San Luca e del suo archivio storico, sul quale lavoriamo oramai da anni.
Quali opere o confronti sono a vostro parere particolarmente emblematici?
Per la prima volta sono poste a confronto le due pale con «San Luca dipinge la Vergine», nella versione tradizionalmente attribuita al Sanzio e nella copia che ne fece nel 1623 Antiveduto Gramatica, quest’ultima esposta nella chiesa dei Santi Luca e Martina: nella stessa sala, una serie di incisioni di traduzione testimoniano una vera «costruzione» del mito di Raffaello che parte dal tardo Cinquecento, con la fondazione dell’Accademia di San Luca sotto l’egida di Federico Zuccari; nei dipinti sopra citati non casualmente quindi l’urbinate è posto accanto al santo partono dei pittori che dipinge un’ immagine della Vergine, quasi a legittimarne anche il ruolo di «pictor cristianus», punto di riferimento nella vita come nell’arte per i giovani pittori. Rimandiamo alla scheda in catalogo per ulteriori approfondimenti. Altro confronto che ci pare particolarmente significativo è quello tra il putto attribuito a Raffaello proprietà dell’Accademia e la copia che ne fece Gustave Moreau alla metà dell’Ottocento, possibile grazie alla disponibilità del Museo Moreau di Parigi, non poca cosa in tempi di covid! E ancora: sia l’album con la serie degli apostoli che un cartone per «La propagazione del Cristianesimo» di Tommaso Minardi erano decenni che non erano visibili al pubblico.
A proposito del putto attribuito a Raffaello, di proprietà proprio dell’Accademia di San Luca, proveniente dal lascito Wicar, mi è stato riferito che ci aspettano non poche novità.
L’esposizione ha sollecitato la nascita di un cantiere di studio con un approccio multidisciplinare per una maggiore comprensione dell’opera. La collaborazione con la soprintendenza capitolina ci ha poi consentito di avviare uno studio comparato con l’affresco di Raffaello in Sant’Agostino con «Il profeta Isaia». I primi risultati sono presentati nel catalogo della mostra ma si tratta di un vero work in progress che di concluderà in una giornata di studi prevista a inizio del 2021, che stiamo organizzando.
A parte questo caso macroscopico e di grandissima rilevanza, mi pare che proprio l’organizzazione della mostra abbia sollecitato ulteriori interventi conservativi.
Come già accennato, uno degli scopi era quello di portare alla luce opere poco note o non esposte da decenni, il che ha fortunatamente innescato una campagna di restauri purtroppo non conclusa a causa dell’emergenza sanitaria che si spera continuerà dopo la chiusura della mostra. Sarebbe per noi auspicabile il restauro, ad esempio, del cartone di Minardi, del «San Luca» di Francesco Podesti e del ritratto di Funi; per non parlare di quanto un restauro del putto contribuirebbe ad una lettura aggiornata e più corretta del frammento di affresco.
Un’ultima osservazione riguarda il catalogo, anch’esso in controtendenza rispetto a quelli che solitamente acquistiamo: di medio formato, non troppo pesante e alquanto maneggevole, è possibile portarlo con sé e consultare le schede davanti alle relative opere.
Anche questo è frutto di una scelta ben precisa: abbiamo puntato sulla massima chiarezza e fruibilità dei contenuti, anche riducendo i saggi in apertura del catalogo, dando invece maggiore spazio alle schede, perché volevamo che fossero le opere stesse, in qualche modo, a «parlare» e a svelare la loro ragion d’essere lungo il percorso espositivo.
Ed effettivamente, visitando l’intelligente esposizione romana, si rimane piacevolmente colpiti dalla chiarezza degli intenti e dalla ragion d’essere di un percorso che si snoda secondo una logica ben ponderata che risulta chiaramente fruibile a un profano, più che stimolante per uno storico dell’arte. In attesa dei risultati, che si preannunciano di non poco conto, che i restauri e le approfondite indagini diagnostiche ci daranno nel corso di questo 2021.