Appartiene ancora ad Enrico Crispolti l’occhio che sovraintende questo ritorno parigino di Mario Ceroli nella personale dedicatagli dalla Galleria Tornabuoni (sino al 30 settembre). Undici pezzi compongono il percorso espositivo dedicato ad uno dei più noti scultori del secolo scorso la cui pratica artistica si è sviluppata nell'ambito della cosiddetta Scuola di Piazza del Popolo.
Ceroli fu premiato alla Quadriennale di Roma nel 1958, e in seguito alla Biennale del 1966, proprio con un’opera, la «Cassa Sistina», entrata nelle collezioni permanenti del Centre Pompidou di Parigi, molto prossima al «Senza titolo (Anna e Marco Ceroli)», pezzo del 1970, che apre questa mostra parigina: un sovrapporsi di sagome, che ammiccano alla cultura pop, realizzato in memoria della precoce perdita della figlia Anna, ritratta dall’artista come un angelo custode.
Sono anni, i Settanta, durante i quali il nome di Ceroli, la cui salda formazione di scultore rimanda a nomi come Leoncillo Leonardi, Pericle Fazzini ed Ettore Colla, viene associato alle ricerche degli artisti dell’Arte Povera.
La mostra prosegue con alcuni assemblaggi in legno, suo materiale d’elezione a partire dalla fine degli anni Cinquanta, qui lasciato volutamente grezzo a trattenere la polvere che diventa un elemento cromatico dell’opera stessa. Tra questi anche «La geometria, quale paesaggio pittoresco» (1974) che, con le sue lettere aggettanti, pare un esperimento di poesia visiva.
Nel piano interrato il tema che sottende la mostra, l’ispirazione greco antica di Ceroli, appare in tutta la sua evidenza in opere come «Tuffatore», un bronzo del 2007 la cui flessione del corpo è calibrata sull’immagine dell’esile tuffatore degli affreschi pompeiani.
Quel rimando antico, immediatamente riconoscibile, diviene simbolo stesso di un’appartenenza nazionale profondamente radicata nell’artista anche quando amplia il suo orizzonte d'interesse al Rinascimento.
«Serata di gala», una tavola del 1981, dalla rigorosa impostazione prospettica, frutto dall’attenta osservazione di Paolo Uccello e di Piero della Francesca, svela un gioco di piani, tra pittura e sportelli apribili, come in uno studiolo quattrocentesco all’interno del quale si riconoscono le sagome dei due bronzi di Riace.
Due sculture d’età classica, che fin dalla loro scoperta nel mare della Calabria nel 1972 diventano emblema stesso dell’imperitura grandiosità della scultura antica, sono gli atleti che Ceroli ospita all’interno di un’architettura rinascimentale, «Bronzi di Riace» del 1992, per poi ritrovarli «visitatori» di un «Incontro al museo» nel 2000.
Il suo omaggio alla tradizione artistica rinascimentale arriva all’aperta citazione in «Squilibrio» (1988), palmare sviluppo tridimensionale dell’«Uomo vitruviano», e de «La Scuola di Atene»: una tavola in legno del 1981 nel quale Ceroli ricostruisce con puntualità gli spazi dell’affresco vaticano animato però da ombre di un’umanità contemporanea.