L’antica dimora dei presbiteri anche quest’anno diventa una grande sala d’arte. A Illegio, borgo carnico di 340 anime, si ripete la «grazia» della grande mostra annuale, tra gli eventi d’arte nati grazie a don Alessio Geretti e all’Associazione culturale comitato San Floriano per rivitalizzare il paese, cresciuti sino ad appassionare 400mila visitatori totali. Quest’anno, per l’edizione numero 19, è allestita «Carne. La materia dello spirito», esposizione aperta sino al 22 ottobre, che raccoglie 42 opere, un terzo delle quali mai esposte prima, in un percorso che regala diverse interpretazioni: vita e sentimenti, sostanza concretamente umana, pulsione negativa ma anche antidoto all’asservimento, elemento che cede al tempo e agli eventi e, infine, verbo di Dio che si fa tangibile.
Si inizia dalla rivelazione della carne, dalla vita e dall’amore con le figure nitide, naturali, de «La Giovinezza» di Giorgio Kienerk e soprattutto con l’elegante e sfacciata raffinatezza di «Nudo» di George Spencer Watson. È qui che si percepisce, quasi in modo tattile, quanto la carne abbia il privilegio di sentire, di emozionarsi. Al secondo piano dell’edificio si trovano i corpi modello, maschili, in primis, con un Kuros e un Hermes, la cui rappresentazione ambisce alla perfezione. Quindi anche le donne: le Veneri dormienti, rappresentazioni di Danae, il momento della toeletta, figure vive con corpi non perfetti dove la bellezza va riconosciuta, capita e infine le pulsioni, che nascono dalla carne. «La tentazione del filosofo» del pittore olandese Gerrit van Honthorst racconta di una seduzione non consumata mentre «Nuda», di Giacomo Grosso tratteggia una donna cacciatrice, al tempo stesso preda.
Nella sala successiva è la volta della pudicizia e il contrasto tematico appare netto. Qui una copia in gesso, fonte di studio preliminare della «Venere italica» del Canova, racconta di precisione e di passione. Emozionano, poi, le storie dei volti dove la carne esplicita i tratti distintivi di ogni singola persona. Si incontrano lo sguardo fiero, intenso, della contadina ucraina dipinta dal russo Wladimir Nikolajewitsch Ptscholin, quello soddisfatto, realizzato, di Meo Matto, giullare dei Medici, nell’opera del fiammingo Justus Sustermans e poi quello onirico di Germana Gerardi Zanini, ritratta da Giorgio De Chirico. Manca l’apoteosi, il verbo che si fa carne, come scriveva Giovanni nel suo Vangelo. La rende opera d’arte Rubens, con la sua «Madonna col bambino», una tela coinvolgente, dai contrasti forti e la dettagliata e vivace «La resurrezione di Lazzaro». È rappresentato così anche l’ultimo atto: dopo la morte la carne ritorna vita.