Fino all’8 ottobre «brilla» ai Musei Capitolini (Villa Caffarelli) la mostra «Nuova luce da Pompei a Roma», con oltre 180 bronzi di lucerne ad olio, candelabri, portalucerne, torce e numerose preziose sculture pertinenti i sistemi d’illuminazione dell’antichità. Sono lavori provenienti dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli e dal Parco Archeologico di Pompei, messi insieme da Ruth Bielefeldt, docente di Archeologia classica dell’Università Ludwig-Maximilian di Monaco di Baviera che ha curato la mostra con Johannes Eber.
«È una mostra insieme scientifica e poetica», ha dichiarato la professoressa Bielefeldt: a guidarla nella ricerca sono state infatti anche le implicazioni del tema buio/luce, oltre allo stupore per la varietà delle soluzioni plastiche e per la ricchezza inventiva messa in campo da anonimi ma eccellenti artisti. Nelle dimore patrizie di Pompei, Ercolano e delle ville circumvesuviane le lucerne non avevano solo finalità pratiche, ma anche estetiche: erano opere d’arte a sé stanti. Di qui le tante lucerne terminanti con teste umane, leonine, equine e caprine, o corredate di figure danzanti, di sileni ubriachi o giovani itifallici, o anche di stilizzati elementi vegetali. Altre rappresentavano fantasiosi ibridi di uomini e uccelli, o chiocciole di lumache.
Di grande interesse anche i bronzi tridimensionali e a dimensione naturale, rappresentanti lampadofori, portatori di torce. Dalla Casa di Giulio Polibio a Pompei, ad esempio, proviene l’effigie di un kouros dalle fattezze arcaiche, ma realizzato nel I secolo d.C. Apparteneva invece alla Casa della Fortuna il ricco larario che inscena una divinità femminile assisa su un trono, due Lari danzanti e una lucerna a forma di piede umano.
Celebre è l’esposto Efebo della Casa dell’Efebo di Pompei, meno nota, invece, la statuetta di un fanciullo orientale nudo, sempre esposta, scoperta nel 1818 nella clinica del chirurgo Pomponius Magonianus.