«Malka Germania» (2021) di Yael Bartana

Foto Nico Covre, Vulcano Agency

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«Malka Germania» (2021) di Yael Bartana

Foto Nico Covre, Vulcano Agency

Bartana: faccio arte per capire il mondo

Al PAC Milano, nell’ambito della rassegna «Performing Pac», l’artista e attivista israeliana presenta per la prima volta in Italia il video «Malka Germania», in cui realtà e finzione si intrecciano

Artista poliedrica e attivista, Yael Bartana (Israele, 1970) attraverso la produzione di video, film, installazioni e fotografie indaga il tema della coscienza nazionale propagata in Israele, suo Paese natale, scandagliando i concetti di identità, memoria, patria e i sentimenti di appartenenza e ritorno. La sua opera video «Malka Germania» (2021) è stata presentata per la prima volta in Italia al PAC Milano, in occasione della rassegna «PERFORMING PAC. Dance Me The End Of Love», visibile fino al 10 settembre. L’edizione 2023, che ricorre a trent’anni dalla strage mafiosa di via Palestro, raccoglie lavori di artisti diversi che indagano il rapporto tra arte contemporanea e memoria storica.

Approfondendo alcuni temi portanti della sua ricerca, il video «Malka Germania», per la prima volta esposto in Italia, indaga il desiderio di riscatto collettivo, ritraendo gli aspetti più nascosti e bui del nostro inconscio e le ambiguità dell’esperienza ebraica tedesca contemporanea. Il lavoro si sviluppa in un continuo intreccio di narrazione storica e finzione. Ce ne può parlare?

I miei primi lavori si concentravano tantissimo sul dato di realtà. Lo estrapolavo, lo analizzavo e cercavo in qualche modo di isolarlo per investigarlo con sguardo più consapevole e critico. Un metodo utile a esaminare i fatti e sottoporli ad attenta valutazione. È osservando la realtà, in particolar modo quella di Israele e il concetto di identità nazionale, che ho iniziato a interferire con essa, intrecciando accadimenti e finzione. Questo approccio si è poi sviluppato in maniera organica nel corso degli anni, ma penso che la mia grande transizione sia iniziata quando ho deciso di approfondire i meccanismi di funzionamento del cinema di propaganda, cercando di capire come la propaganda, nazista, bolscevica o sionista, fosse stata utilizzata nella filmografia del XX secolo. Interrogandomi su come gli ideologi avessero provato a creare un’immagine del mito e dell’èthos, e utilizzando la stessa metodologia, ho cominciato a costruire il mio linguaggio narrativo.

In questo contesto si inscrive la sua celebre trilogia polacca «And Europe Will Stunned» con la quale, nel 2011, ha rappresentato la Polonia alla 54ma Biennale di Venezia. Un progetto incentrato sulla storia delle relazioni polacco-ebraiche e la loro influenza sull’identità polacca contemporanea, che si sviluppa attraverso una riscrittura immaginifica della recente storia d’Europa. Cosa accadrebbe se i 3.300.000 ebrei costretti a lasciare la Polonia facessero ritorno nel proprio Paese?

Nella trilogia finzione e realtà convivono al punto che molte persone hanno percepito quel lavoro come un documentario. Interessante che possa risuonare anche in questo modo, a dimostrazione del fatto che c’è molta ironia e anche molta ambiguità nelle mie opere. Quella in particolare ha assunto toni davvero epici, perché volevo guardare agli eventi storici e gli eventi storici spesso sono molto epici, specie se vengono visti in retrospettiva. Utopia e distopia sono sempre presenti, non come gli o...o della logica aristotelica, ma come gli e...e dell’ambivalenza e dell’alternativa possibile offerta dal pensiero dialettico. 

Riscrivere la storia, interferendo fittiziamente con essa, significa anche decostruire il concetto di identità. Zygmunt Bauman, nel suo libro La società individualizzata, definisce l’identità come un surrogato della comunità, di quella presunta «casa naturale» che non è più disponibile nel mondo rapidamente privatizzato, individualizzato e in via di globalizzazione. In altri termini, quando la comunità crolla viene inventata l’identità. Concorda con questa definizione?

Proprio mentre stiamo parlando, la comunità in Israele sta crollando (la protesta sta dilagando in tutto il Paese da quando il governo di destra di Benyamin Netanyahu ha approvato l’inizio della riforma giudiziaria, Ndr). Penso che dimensione individuale e collettiva siano strettamente collegate e credo che molti miei lavori riflettano anche questo tipo di connessione. L’idea di promuovere su larga scala il Jewish Renaissance Movement (Movimento per il Rinascimento ebraico) nasceva proprio dall’esigenza di approfondire questi temi. Sono in totale accordo con Bauman, c’è un legame diretto tra comunità e identità, che funziona in modo diverso a seconda dei contesti diversi. Nel caso di Israele, si tratta in gran parte di una società basata sulla comunità. È sotto gli occhi di tutti quello che è accaduto negli ultimi sei mesi, non è mai successo nella storia di Israele che in un tempo relativamente breve una così grande massa di persone si sia organizzata per protestare. E ovviamente per me è molto doloroso assistere a tutto ciò. Per molti anni sono stata impegnata nell’attivismo contro l’occupazione e questa esperienza emerge chiaramente dai miei primi lavori. E adesso mi chiedo: «Dov’erano tutti negli anni in cui abbiamo effettivamente capito che l’occupazione rappresentava, e rappresenta ancor oggi, un grosso problema per la politica israeliana? Dove siete stati cittadini?». Questa è la domanda che mi pongo costantemente. Improvvisamente la gente si sveglia? Non lo so, è molto triste.

In questo quadro e provando a districarsi tra questi interrogativi, che funzione assegna all’arte e quale il suo ruolo come artista?

Essenzialmente, per me fare arte significa cercare di capire tutto questo. Hannah Arendt usava la sua scrittura per comprendere il più possibile della vita, della realtà e della politica. Quanto a me, è facendo arte che imparo, esploro e comunico. Non posso dire di capire tutto, ci sono fatti che esulano dalla mia comprensione ovviamente, ma posso osservare schemi, meccanismi di funzionamento, questa specie di lavaggio del cervello che è in atto, cercare di intuire chi ha accesso a che cosa. Penso che l’unico compito che come artista posso svolgere sia quello di mostrare possibilità, creare alternative, innescare l’immaginazione con il fine di dare una veste diversa alla realtà. Così ho fatto con la trilogia ma anche, per esempio, con il progetto sulle donne «What If Women Ruled The World» (2017). La realtà è molto deprimente in tutto il mondo, sembra che si stia tornando indietro con tutti questi rigurgiti fascisti, che interessano anche l’Italia dove è evidente l’eredità di Mussolini. È certamente un momento molto complesso questo. Interessante e spaventoso insieme.

Yael Bartana. Foto di Birgit Kaulfuss

Francesca Interlenghi, 04 agosto 2023 | © Riproduzione riservata

Bartana: faccio arte per capire il mondo | Francesca Interlenghi

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