Dorothea Lange (New Jersey, 1895-San Francisco, 1965), protagonista assoluta della fotografia documentaria del XX secolo, fino all’8 ottobre lo è anche della nuova mostra di Camera Torino, curata dal suo direttore artistico Walter Guadagnini e da Monica Poggi. Duecento immagini ne raccontano la carriera, concentrandosi sugli anni ’30 e ’40, picco assoluto della sua attività, sostenuta (insieme a quella di altri fotografi) dal governo americano tramite l’agenzia Farm Security Administration.
Sono gli anni in cui la crisi economica e la siccità spinsero stuoli di lavoratori agricoli ad abbandonare le proprie terre alla volta delle grandi piantagioni della Central Valley, sfrattati dalle loro case a causa del mancato rinnovo dei crediti delle banche. In quegli anni strazianti, narrati nel capolavoro di John Steinbeck, Furore (1939), la fotoreporter è nei suoi viaggi di lavoro al fianco dell’economista agricolo Paul S. Taylor, che sposerà qualche anno più tardi.
La sua fotografia racconta senza orpelli la disperazione dei miserabili. Dalle piantagioni di piselli della California fino a quelle di cotone del Sud, dove la segregazione razziale crea forme di sfruttamento ancor più degradanti. Appartiene a questo ciclo «Migrant Mother», foto di una giovane madre stremata dagli stenti, capolavoro dell’artista. Ma la retrospettiva omaggia anche gli scatti dei campi di detenzione destinati alla popolazione di origine giapponese residente negli Stati Uniti dopo l’attacco a Pearl Harbor nel 1941. Anche in questo caso Lange lavora con altri autori (tra cui Ansel Adams) su incarico del Governo, nonostante il suo dissenso pubblicamente espresso nei confronti della misura.