«Emanuele Cavalli e la Scuola romana: attraverso gli archivi», aperta dal 10 febbraio al 20 marzo alla Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea, è una mostra che riporta al centro dell’attenzione la poetica pittorica del tonalismo.
Curata da Manuel Carrera, l’esposizione (esito finale della donazione al museo dell’intero archivio Cavalli da parte degli eredi) riunisce una quarantina di dipinti realizzati tra le due guerre dal pittore nato a Lucera nel 1904 e morto a Firenze nel 1981.
È stato a Roma, tuttavia, dove dal 1921 studia con Felice Carena, che l’artista mette a fuoco, teoreticamente e praticamente, assieme a Capogrossi, Cagli e Melli, i principi di una pittura che, bandendo i contrasti timbrici, si dispiega sul piano mediante una continuità tonale di masse cromatiche, in gradazione calda e soffusa.
L’aura è quella del Realismo magico, teorizzato in letteratura dallo zio di Cagli, Massimo Bontempelli. La mostra vuole mettere in risalto proprio questa rete di scrittori, artisti, critici, questo scambio vitale di idee che a Roma determinarono uno stile.
Documenti di archivio e opere dei citati compagni di strada vogliono così ricostruire quel clima intellettuale, da cui scaturì, nel 1933, per opera del critico d’arte Waldemar-George, nel testo di presentazione di una mostra parigina di Cavalli, Cagli, Capogrossi e Sclavi, la definizione storiografica di Scuola romana.
Appassionato di musica classica, Cavalli scorse nel principio tonale proprio il territorio che l’accomunava all’arte pittorica. Il ponte con quella fotografica lo incarnò lui direttamente, realizzando una serie di scatti, di cui una decina in mostra.