«Hagoromo», la mostra che dal 16 settembre all’8 gennaio il Centro per l’arte Contemporanea Luigi Pecci dedica a Massimo Bartolini (Cecina, 1962), a cura di Luca Cerizza con Elena Magini, rimanda nel titolo a una nota pièce del teatro Noh giapponese (l’hagoromo è il manto di piume della «tennin», spirito celeste femminile di sovrannaturale bellezza della mitologia giapponese).
Al contempo, però, si riferisce anche a quella che Bartolini considera la sua prima opera matura, del 1989, in cui si trovano anticipati temi e caratteri propri di tutta la sua ricerca. A dispetto del riferimento a quell’opera iniziale, la mostra non ha però voluto tracciare un percorso retrospettivo e tanto meno seguire un andamento cronologico o tematico, come è chiarito anche nel catalogo, edito da Nero, a cura di Luca Cerizza e Cristiana Perrella.
Fulcro del percorso è infatti la più ampia installazione sonora mai realizzata dall’artista, concepita per gli spazi del museo in collaborazione con il musicista inglese Gavin Bryars. Un intervento sonoro che riveste anche un ruolo architettonico importante in relazione al percorso multidirezionale nel quale si trovano collocate un numero ristretto di opere rappresentative dei trent’anni e più della produzione di Bartolini, che spazia tra la diversità di linguaggi e materiali.
Bryars, uno dei maggiori esponenti della musica di ricerca emersa tra gli anni Sessanta e Settanta, ha composto per l’installazione una partitura polifonica per ogni stanza dando così origine a un paesaggio sonoro stratificato e sempre in mutazione a seconda dei tempi e modi in cui lo spettatore si muove nello spazio.
La musica è sempre «oltre», di là da venire, mai completamente esperita da un singolo ascoltatore nella sua interezza, come suggerisce «In La’», 2022, che allude anche alla tonalità (LA) dominante del pezzo. «Hagoromo» è stata realizzata in partnership con Intesa Sanpaolo.