«documenta. Politica e arte» è il titolo programmatico della mostra che il Dhm-Deutsches Historisches Museum (Museo Storico Tedesco) allestisce dal 18 giugno al 9 gennaio. La mostra d’arte contemporanea che ha luogo ogni cinque anni nell’assiana Kassel ha una storia che s’intreccia a doppio filo con quella dell’ex Repubblica Federale Tedesca, documento di tendenze artistiche e Zeitgeist socio-politico-culturale della Nazione uscita sconfitta dalla seconda guerra mondiale, in perenne stato di tensione fra i due capi contrapposti del nazifascismo da una parte, della dittatura socialista dall’altra.
Nelle 14 edizioni che si sono svolte dal 1955 in poi, documenta è stata vittima consapevole di tendenze politiche tanto progressiste quanto conservatrici, dando voce sul suo palcoscenico a uno spettacolo affatto apolitico e libero. Per questo motivo il Dhm, nomen omen più orientato alla narrazione storico-documentale che non a quella artistica, vuole raccontare la vita della rassegna d’arte tedesca più famosa al mondo attraverso filmati, manifesti, oggetti di valore storico-culturale, documenti pubblici e privati e naturalmente manufatti artistici di varia natura, calandola nel contesto dello sviluppo politico, culturale e storico-sociale tedesco nella seconda metà del XX secolo.
Come si orientò politicamente documenta in una Germania Ovest che vedeva in molte posizioni chiave della società nazisti graziati e/o reinventatisi democratici? Prese davvero le distanze dal nazionalsocialismo e dalla sua politica culturale, dichiarandosi tuttavia contraria alla retorica per immagini del blocco orientale?
La mostra parallela del Dhm, «La lista dei “benedetti da Dio”. Artisti del nazionalsocialismo nella Repubblica Federale Tedesca» (dal 27 agosto al 6 febbraio 2022), racconta per la prima volta le carriere nel dopoguerra dei 1.041 artisti sostenuti da Goebbels e Hitler. Si scopre che documenta non fu affatto artefice di un’«ora zero» (Stunde Null, termine mutuato dal gergo militare per indicare la data fatidica dell’8 maggio 1945 in Austria e Germania) dell’arte tedesca.
La rassegna, ai suoi inizi, non prese mai radicalmente le distanze dal Terzo Reich. Molte opere di artisti ebrei morti nella Shoah, ad esempio, non furono mai ospitate nelle sue prime edizioni a dimostrazione del fatto che, com afferma Raphael Gross, presidente della Stiftung Dhm, «il gruppo di artisti visivi dell’establishment artistico nazista ha dominato gli spazi pubblici tedeschi all’indomani del 1945 e a ben vedere continua a farlo ancora oggi».