Le fotografie del fotogiornalista irlandese Ivor Prickett (Cork, 1983) hanno una bellezza che rasenta la costruzione accademica. Sono belle, ma fanno male, perché in realtà sono immagini dirette e la loro bellezza formale, trovata nonostante tutto, viene fuori dalla verità spietata di scenari di guerra. Ci fa male vedere la guerra, le sue conseguenze, le macerie, il dolore, l’impatto sulla quotidianità e la tragica banalità con cui persino l’immagine della morte si ripropone, ovunque, come qualcosa di già visto.
Racconti di sopravvivenza e perdita, storie uniche, che tuttavia si ripetono in una reiterazione dell’orrore di cui si fatica ad avere cognizione. Con oltre 50 fotografie scattate in scenari di conflitto dal 2006 al 2022, raccolte per la più ampia ricognizione sul lavoro di Prickett presentata al pubblico fino a ora, «No Home from War» è la mostra proposta dal 30 aprile al 30 luglio dalla Collezione Maramotti, in occasione del festival Fotografia Europea.
L’inquietudine è uno stato di permanenza davanti a questa ricerca che insiste, e persiste, nel documentare con sguardo lucido e ravvicinato, emotivamente e visivamente, storie di popoli in scenari di conflitti. La mostra è un diario di viaggio che segue la cronologia delle tragedie, senza schierarsi da una parte o dall’altra, ma fissando la propria posizione solo dalla parte dell’umanità, la cui essenza delicata e resistente sembra essere il vero obiettivo della ricerca; un’umanità cercata e scovata nelle case sventrate, nei rifugi, tra le macerie abbandonate, sulle strade.
Prima (dal 2006 al 2010) tra i Balcani e il Caucaso, con uno sguardo concentrato su singoli individui e su piccoli gruppi delle minoranze in esilio, gente in fuga dall’abominio della pulizia etnica (la popolazione serba in Croazia e quella mingreliana georgiana in Abkhazia). Poi in Siria (tra il 2013 e il 2015) nel moto perpetuo tra Medio Oriente ed Europa, cercando tra i milioni di migranti in viaggio, nei campi per rifugiati che dovrebbero restituire sicurezza e sono l’emblema della precarietà.
Di seguito (tra il 2016 e il 2018) ancora in Siria e in Iraq, nel cuore della guerra contro lo Stato Islamico (Isis), con scatti realizzati in prima linea, al seguito dei contingenti militari iracheni, lo sguardo nella polvere delle esplosioni. E adesso di nuovo in Europa, nel 2022 con la guerra in Ucraina, tra le rovine mute delle città sotto attacco, immagini che ancora dopo un anno ci lasciano senza parole nella serie «Fighting to Exist». Accompagna la mostra un libro-catalogo con un testo di Arianna Di Genova.