Un eccellente esempio delle cosiddette «baby faces», una particolare tipologia di sculture in terracotta raffiguranti bambini paffuti (particolare)

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Un eccellente esempio delle cosiddette «baby faces», una particolare tipologia di sculture in terracotta raffiguranti bambini paffuti (particolare)

Al quai Branly la cultura madre della Mesoamerica

Gli Olmechi nella Costa del Golfo, dove sorsero i loro centri più importanti

La cultura olmeca, per quanto poco nota ai non specialisti, è generalmente considerata la «madre delle culture mesoamericane», sia perché è la più antica tra quelle che hanno lasciato imponenti tracce archeologiche, sia perché elaborò molti dei tratti culturali che passarono poi alle culture successive.

Iniziò a svilupparsi a partire dal 2000 a.C. quando per la prima volta le eccedenze della produzione agricola cominciarono a consentire una certa stratificazione sociale e la nascita di città e di un potere (è difficile capire se si trattò di «chiefdoms» o di Stati) che aveva l’autorità e il prestigio per far costruire centri cerimoniali e grandi monumenti, per i quali era richiesto il lavoro coordinato di migliaia di persone.

La sua area centrale fu la Costa del Golfo dove sorsero i suoi centri più importanti: San Lorenzo, La Venta, Tres Zapotes, che in momenti diversi ebbero chiaramente un ruolo egemonico nella regione. Anche se non si sa bene come queste città esercitassero il loro dominio, è certo, tuttavia, che la loro influenza andò ben oltre la Costa del Golfo e arrivò a caratterizzare fortemente regioni molto lontane estendendosi un po’ a macchia di leopardo, senza mostrare un gradiente centro-periferia.

A partire dal 300 a.C. i tratti distintivi della cultura olmeca cominciarono a sfumare, per poi scomparire del tutto. Più che ad avvenimenti traumatici (guerre ecc.), che peraltro non si possono escludere, sembra logico pensare a una lunga e progressiva trasformazione, che nella Costa del Golfo portò alla nascita delle culture epiolmeche.

I tratti culturali più importanti che prima caratterizzarono la cultura olmeca e poi tutta la Mesoamerica fino all’arrivo degli Spagnoli, erano costituiti da calendari basati su cicli di 260 e 365 giorni e di 52 anni, da sistemi di scrittura ideografico-fonetici, da stili artistico-architettonici simili o convergenti, da una religione con divinità comuni o sovrapponibili e, last but not least, dal gioco della palla, che non era tanto uno sport, ma un rituale religioso.

Pertanto, data l’importanza della cultura olmeca non si può non festeggiare il fatto che dal 9 ottobre al 25 luglio 2021 il Musée du quai Branly Jacques Chirac (Mqbjc) riservi il Mezzanine Est alla mostra «Gli Olmechi e le culture del Golfo del Messico» (catalogo Mqbjc-Skira, 256 pp., € 45,00).

L’esposizione, che è il risultato della collaborazione tra il Musée du quai Branly e l’Instituto Nacional de Antropología e Historia (Inah) e la Secretaría de Cultura (il Ministero della Cultura del Messico), è curata da Cora Falero Ruiz del Museo Nacional de Antropología (Mna) di Città del Messico e da Steve Bourget, archeologo di origine canadese responsabile delle collezioni americane del museo parigino. Nel complesso sono presentate circa 300 opere che, come rivela il titolo della mostra, pur concentrandosi sugli Olmechi, consentono di gettare uno sguardo alle altre culture che dopo di loro si svilupparono nella Costa del Golfo.

Il percorso espositivo si articola in cinque sezioni: gli Olmechi, Lingue e scritture, Donne e Uomini del Golfo, Offerte, Scambi, che permettono approfondimenti molto interessanti e consentono di ammirare alcuni dei capolavori assoluti della scultura olmeca e reperti unici di straordinaria importanza archeologica ed etnografica.

In un contesto così ricco e articolato è difficile elencare le opere che emergono. Si può solo segnalare che gli appassionati d’arte tout court resteranno incantati dalla capacità degli scultori olmechi nel raffigurare la figura umana, adottando soluzioni formali vicine agli stilemi di quello che potremmo definire un naturalismo idealizzato o, per dirla con Asturias, un realismo magico. E questo, non a caso, ha spinto alcuni autori a parlare dell’«omocentrismo» dell’arte olmeca.

Tra i capolavori esposti è doveroso ricordare la Testa Colossale 4 di San Lorenzo, una scultura imponente in basalto, che probabilmente rappresentava la testa di un sovrano, così come le altre diciassette tipologie simili. In quest’opera, in particolare, è importante mettere in evidenza che, come hanno scoperto diversi autori, la ricerca dell’armonia ha portato a creare una scultura le cui misure hanno un rapporto che quasi coincide con la sezione aurea.

Un eccellente esempio delle cosiddette «baby faces», una particolare tipologia di sculture in terracotta raffiguranti bambini paffuti (particolare)

Antonio Aimi, 08 ottobre 2020 | © Riproduzione riservata

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