«Ritratto di Teresita» (1940) di Lucio Fontana. Foto: Fondazione Lucio Fontana / Ars / Siae

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«Ritratto di Teresita» (1940) di Lucio Fontana. Foto: Fondazione Lucio Fontana / Ars / Siae

Fontana al Metropolitan: terre e tagli

Le prime opere del maestro hanno rappresentato le basi di ciò che sarebbe venuto dopo

Nancy Kenney

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New York. Di Lucio Fontana si conoscono soprattutto le tele forate e squarciate dagli anni ’40 agli anni ’60, gesti radicali che hanno sfidato la tradizione e consolidato il ruolo dell’artista italo-argentino nella storia dell’arte del dopoguerra.

«Lucio Fontana. Sulla soglia», la mostra al Met Breuer aperta dal 23 gennaio al 14 aprile si propone di mettere a fuoco ed esplorare a più ampio raggio la sua opera, sostenendo come le sue prime sculture, pezzi d’arte decorativa e opere monumentali abbiano rappresentato le basi di ciò che sarebbe giunto dopo.

Nato nel 1899 in Argentina, dov’era emigrato il padre italiano, Fontana si trasferì nel 1906 in Italia, dove frequentò le scuole e successivamente combatté nella prima guerra mondiale. Nel 1922 ritornò in Argentina per collaborare nel laboratorio di scultura di suo padre, realizzando tombe monumentali e statue. Presto iniziò a destreggiarsi tra le tecniche, spaziando dal gesso alla terracotta, alle ceramiche decorative e producendo in serie pezzi che sfruttavano gli effetti di luce prodotti da foglie d’oro e mosaici.

La mostra del Met Breuer sonda anche il ruolo dell’artista come fondatore dello Spazialismo a Milano nel 1947, quando ricercava un’arte che abbracciasse l’era della meccanica proiettando forma e colore nello spazio. La rassegna, organizzata con la Fondazione milanese intitolata all’artista,  mette poi in luce le sue più note creazioni del dopoguerra, dalle tele forate («I buchi») alla serie «I tagli», all’impiego di materiali come il rame e l’alluminio nella serie «I metalli».

Iria Candela del Metropolitan Museum of Art curatrice della mostra, vede nelle prime sculture e le ceramiche il background delle tele tagliate, nelle quali essenzialmente Fontana trasformò le tele in sculture. «Dopo aver tagliato le tele, fa notare, riponeva la lama e usava le mani» per modellare l’apertura. «È un gesto scultoreo».

Un assaggio delle sperimentazioni di Fontana con luce e spazio viene offerto da installazioni immersive come «Ambiente spaziale con luce rossa» (1967). Opere che esercitarono grande influenza in Europa, ma che Iria Candela vede anche come parte di un continuum che si protrae nell’opera di artisti americani quali James Turrell e Bruce Nauman: «Fontana, conclude, cercò per tutta la vita di comprendere quali fossero i limiti dell’arte».

«Ritratto di Teresita» (1940) di Lucio Fontana. Foto: Fondazione Lucio Fontana / Ars / Siae

Nancy Kenney, 18 gennaio 2019 | © Riproduzione riservata

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