La Biennale espone se stessa

Si intitola «Le muse inquiete» la mostra dei sei direttori: Alemani, Barbera, Chouinard, Fedele, Latella e Sarkis

Pier Paolo Pasolini e Cesare Zavattini durante una manifestazione e contestazioni alla Mostra del Cinema del 1968 © Giacomelli
Veronica Rodenigo |  | VENEZIA

Si è aperta il 29 agosto «Le muse inquiete. La Biennale di fronte alla storia», la mostra organizzata dalla Biennale di Venezia nella ricorrenza del suo 125mo anniversario. Allestito da Formafantasma (Andrea Trimarchi e Simone Farresin) in 4mila metri quadrati nel Padiglione Centrale ai Giardini fino all’8 dicembre, il percorso racconta l’intreccio delle sei arti che oggi coesistono sotto l’egida dell’istituzione veneziana, fondata nel 1893 per organizzare la prima Esposizione Internazionale d’Arte nel 1895, e presieduta dallo scorso gennaio da Roberto Cicutto che succede a Paolo Baratta.

Dopo lo slittamento della Biennale di Architettura «How will we live together?» al 2021 e della Biennale di Arte al 2022, il progetto espositivo precede la 77. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, confermata al Lido dal 2 al 12 settembre, a cui seguiranno Teatro (14-25 settembre), Musica (25 settembre-4 ottobre) e Danza (13-25 ottobre). Curata dai direttori artistici dei diversi settori, Cecilia Alemani (Arte), Alberto Barbera (Cinema), Marie Chouinard (Danza), Ivan Fedele (Musica), Antonio Latella (Teatro) e Hashim Sarkis (Architettura), l’esposizione che avrebbe dovuto trovare spazio nelle Sale d’Armi durante la Biennale di Architettura, si amplia per concentrarsi sul periodo dagli anni Trenta a fine anni Novanta, analizzando il modo in cui i grandi avvenimenti storici hanno segnato la Biennale condizionandone reazioni o scelte.

«Il percorso tocca i momenti fondamentali della storia del Novecento, che intersecano guerre, conflitti sociali e scontri generazionali», afferma Cecilia Alemani. I carteggi, filmati, fotografie e opere d’arte in mostra provengono dall’ASAC (Archivio Storico delle Arti Contemporanee) e non mancano prestiti di Istituto Luce - Cinecittà, Rai Teche, GAM di Roma, Archivio Ugo Mulas, Peggy Guggenheim Collection, Tate Modern (Londra) e Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. La narrazione parte dagli anni Trenta, quando nacquero le sezioni di Musica e Cinema (1932) e di Teatro (1934). L’istituzione diventa sempre più internazionale e conosce la pressione ideologica dei totalitarismi. Alla Mostra del Cinema del 1938 è forzatamente premiata la pellicola «Olympia» di Leni Riefenstahl (documentario sui giochi olimpici di Berlino 1936), mentre il settore musica accoglie le esibizioni dei «degenerati» Krenek, Stravinskij e Bartòk.

Dopo «Gli anni del Fascismo» seguono «La guerra Fredda e i nuovi ordini mondiali (1948-64)» con la Biennale Arti Visive del 1948 che vede protagonisti il Fronte Nuovo delle Arti, Picasso (alla sua prima partecipazione), Peggy Guggenhieim (la sua collezione al Padiglione della Grecia è allestita da Carlo Scarpa). Si avvicendano poi le contestazioni del ’68, le Biennali di Carlo Ripa di Meana (1974-78), il Postmoderno e la Prima Biennale di Architettura (1980) e Danza (1999). «La Strada Novissima» di Paolo Portoghesi apre al pubblico le Corderie dell’Arsenale. Infine gli anni ’90 e la globalizzazione.

In occasione della mostra, il Cda della Biennale di Venezia ha deciso di attribuire i Leoni d’Oro Speciali 2020 a Maurizio Calvesi, Germano Celant, Okwui Enwezor e Vittorio Gregotti, i quattro ex direttori artistici del settore arti visive della Biennale di Venezia, scomparsi recentemente, ognuno testimone di momenti particolarmente significativi per la storia della Biennale.

È possibile prenotare visite guidate sulla storia di Padiglioni e Arsenale. Qui fino al 25 ottobre prosegue la mostra «La Biennale all’Arsenale 1998-2020, gli interventi di restauro e riqualificazione». È infine confermato in modalità digitale il dibattito sul tema «How will we live together?» (labiennale.org).

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