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È espoloso il Big Broad

Julia Halperin

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Opere di grande impatto e una sede spettacolare per il museo inaugurato dal collezionista americano: vi sono 2mila pezzi, ma il numero continua a crescere

La prima cosa che accoglie il visitatore del Broad, il nuovo museo di arte contemporanea di Los Angeles è una torre di piatti alta quasi 2,5 metri che sembra uscire dalla credenza di un gigante (cfr. lo scorso numero di «Il Giornale dell’Arte», p. 10). La scultura del 1993 dell’artista di Los Angeles Robert Therrien è un’introduzione perfetta al museo dedicato alla collezione di Eli ed Edythe Broad.

L’istituzione, costata 140 milioni di dollari (circa 125,5 milioni di euro) che si è inaugurata il 20 settembre, è spettacolare ed è il traguardo del lungo lavoro della coppia che vuole trasformare Los Angeles in una capitale dell’arte contemporanea. Negli ultimi quarant’anni i Broad hanno allestito una delle più grandi collezioni di arte contemporanea degli Stati Uniti, diventando i mecenati più potenti e discussi dei musei pubblici della città. Insieme alla moglie Edythe, Eli, che ha costruito la sua fortuna valutata in 7 miliardi di dollari nel campo delle assicurazioni e dell’edilizia residenziale, ha donato più di 800 milioni alle organizzazioni artistiche locali.

E infatti, quasi ogni museo della città ha una targa con il loro nome. Ma in questi anni, Eli Broad si è più volte scontrato con i direttori e i cda dei musei ed è stato criticato per la sua eccessiva volontà di controllo. Ha destato stupore la sua decisione di non donare la collezione al Los Angeles County Museum of Art (Lacma), al quale ha prestato molte opere e dove nel 2008 ha finanziato la costruzione di un edificio che porta il suo nome.

Ma dopo tre anni di lavori, i Broad hanno finalmente un museo tutto loro. L’edificio di 11mila mq, progettato dallo studio di architetti newyorkese Diller Scofidio + Renfro, ospita la loro collezione ricca di 2mila pezzi ed è una vetrina per i molti capolavori della coppia. «Vogliamo essere diversi dalla Frick e dal Norton Simon, spiega Eli riferendosi ai musei privati di New York e Pasadena. Vogliamo essere dinamici, più aperti».

A differenza dell’Huntington, museo e biblioteca privati che sorgono in mezzo a vasti giardini Pasadena, o del Getty, sulla cima di una collina, il Broad si trova in una via nel centro di Los Angeles. Due giorni prima dell’apertura erano stati già prenotati più di 100mila biglietti. L’ingresso è gratuito, anche se il museo potrebbe applicare una tariffa per le mostre speciali. I Broad continueranno a prestare opere d’arte alle altre istituzioni; il museo è stato concepito proprio con questo concetto di condivisione della collezione. Una sala centrale rende più agevole per i curatori accedere alle opere.

I visitatori possono sbirciare nel deposito attraverso piccole finestre nella scalinata centrale, ammirando quadri, fra gli altri, di Albert Oehlen, Christopher Wool e George Condo. Joanne Heyler, la direttrice del Broad, spiega che c’è spazio sufficiente per l’intera collezione con una crescita prevista del 30% nel numero di opere che la coppia continua ad acquistare al ritmo attuale di una a settimana. La mostra di apertura presenta più di 250 opere di 60 artisti, circa il 15% di quelle di proprietà dei Broad, ed è incentrata sui pezzi forti della collezione. «Volevamo far capire la portata della collezione, che sarà esaminata più in profondità nelle prossime mostre». Tra gli highlights, una videoinstallazione di Ragnar Kjartansson che raffigura musicisti boemi e la stanza di specchi di Yayoi Kusama «Infinity Room». Il museo possiede la più grande collezione di opere di Jeff Koons (34 pezzi, 9 esposti nella mostra inaugurale) e più opere di Roy Lichtenstein di qualsiasi altra istituzione, fatta eccezione per la fondazione dell’artista. «Collezionano opere dell’intera carriera di un artista, dichiara l’artista Sharon Lockhart, che incontrò la Heyler subito dopo aver terminato la scuola d’arte nel 1993. Non avevo nemmeno uno studio a quei tempi, dovevamo guardare un video su un monitor ai piedi del mio letto». Ora i Broad hanno 19 sue opere, di cui due in mostra.

Una delle gallerie monografiche del museo offre un assaggio dell’unica serie quasi completa di 570 multipli di Joseph Beuys negli Stati Uniti occidentali. Anche se non era in stile con il loro gusto, quando comprarono le opere nel 2006, l’importanza di Beuys per i giovani artisti e la sua presenza nelle scuole d’arte di Los Angeles fu «una buona ragione per acquistare i suoi lavori», dichiara la Heyler. La mostra di apertura è stata tuttavia criticata per il suo focus sul sensazionale e sul monumentale. La maggior parte dei quadri e delle foto sono grandi almeno quanto un cartellone pubblicitario.

L’opera più grande della mostra, un dipinto in 25 pannelli di Takashi Murakami, è lunga 25 metri. Le più piccole, una selezione di fotogrammi di Cindy Sherman, sono relegate in una vetrina. Alcune sale, come quella in cui si accostano opere di Damien Hirst con grandi fotografie di Andreas Gursky, ricordano lo stand di una fiera. Non ci sono molte occasioni per una riflessione intima come quella offerta dai giardini del Getty progettati da Robert Irwin o dalla sala di Rothko al MoCA di Los Angeles, dall’altro lato della strada. Ma gli artisti locali dicono che in città c’è spazio per tutti. «Amo il fatto che ci sia una nuova meta artistica in centro, afferma Mark Bradford. Tutti vogliono vedere le opere di Eli».

Eli non potrà sapere come le opere più trendy della collezione, come uno spot painting di Hirst o la scultura di un lampione fuso di Urs Fischer, saranno percepite dai visitatori tra un centinaio di anni. Ma ha stabilito una donazione di 200 milioni di dollari (circa 179 milioni di euro) e fondi aggiuntivi per acquisizioni (per capirci, alla fine del 2014 il fondo del Lacma era di 128 milioni di dollari, circa 115 milioni di euro). Con un obiettivo di tale portata, sarà possibile aggiungere opere alla collezione seguendo i cambiamenti delle mode, e dopotutto Eli Broad potrebbe avere l’ultima parola. 

Julia Halperin, 25 settembre 2015 | © Riproduzione riservata

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