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Modifiche alla disciplina della circolazione dei Beni Culturali. Uno scenario possibile

 Modifiche alla disciplina della circolazione dei Beni Culturali. Uno scenario possibile

Giulio Volpe

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In qualità di avvocato impegnato da molto tempo nel settore del diritto dell’arte e dei beni culturali, ho partecipato al gruppo di lavoro (denominato Apollo 2) che ha elaborato, di concerto con eccellenti Associazioni (Associazione Antiquari d’Italia, Associazione Nazionale Case d’Asta, Associazione Nazionale Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea, Associazione Librai Antiquari d’Italia) e con gli operatori più in vista del settore (Christie’s, Sotheby’s, Finarte, Il Ponte, Artcurial, Minerva Auctions, Art Defender, Arterìa) un progetto teso ad apportare una serie di modifiche alla disciplina italiana in materia di circolazione dei beni culturali, al fine di allineare (o avvicinare) la nostra normativa ai principali ordinamenti europei e alla disciplina comunitaria, pur osservando il dovuto rispetto nei confronti della tradizione italiana.
La vera sfida, ormai improcrastinabile se vogliamo salvare un mercato interno a rischio di estinzione senza fossilizzarsi su posizioni di protezionismo ad oltranza o fine a se stesso, risiede nel saper conciliare le ragioni di fondo della tutela italiana, ancora esemplari, con le ragioni di una categoria di antiquari e galleristi in buona parte colta e virtuosa, che se ascoltata e rianimata, saprà collaborare con l’Amministrazione statale e i suoi organi periferici nelle Soprintendenze.
Soltanto così il «sistema» italiano dell'arte, certamente per qualche aspetto farraginoso e troppo arroccato, potrà garantire efficienza ed economicità dell'azione amministrativa, liberandola da burocratismi asfissianti, e contrastare davvero i fenomeni abusivi legati al mercato clandestino.
Ampio raggio ed eccessivo rigore delle proibizioni, d’altronde, non hanno mai frenato da soli l’esportazione illecita dei beni culturali, rischiando anzi di far collassare il «sistema» stesso nel tentativo, manifestamente assurdo, di mantenere ad ogni costo in Italia anche ciò che non abbia legami contestuali significativi con il nostro territorio o con la nostra storia.

Le linee portanti delle modifiche proposte dal tavolo di Apollo 2 sono state le seguenti:
a) l'applicazione di soglie di valore, criterio già adottato dalla disciplina comunitaria in materia fin dalle sue origini (si veda l'Allegato del Regolamento CEE n. 3911/1992, in seguito Regolamento (CE) n. 116/2009 del Consiglio del 18 dicembre 2008), nonché da alcuni Stati membri, alla disciplina nazionale che regola le «spedizioni» e le «esportazioni» di beni culturali;
b) la revisione della soglia dei 50 anni (di età dell'opera) rispetto alla libera esportazione, per portarla quantomeno a 70 anni (la prima proposta ne ipotizzava 100), in linea con quanto praticato altrove;
c) la revisione delle procedure di rilascio dell’attestato di libera circolazione, con la sostituzione dei criteri (ancora risalenti a una circolare del maggio 1974 e precedenti alla nascita stessa del Ministero) secondo i quali concedere o meno l’esportazione di un bene culturale, rendendoli più stringenti e meno esposti all’arbitrio dei funzionari degli Uffici esportazione, eliminando a un tempo l’attuale inammissibile difformità, tra una Soprintendenza e l’altra, della valutazione eseguita dai funzionari, tanto rispetto all’esercizio del potere di vincolo, quanto rispetto al rilascio dell’attestato di libera circolazione verso paesi membri o della licenza di esportazione verso paesi «terzi».
L’esito dei lavori, frutto di riunioni tra i membri del gruppo e di vari confronti svoltisi a Roma con esponenti di spicco del Ministero per i Beni e le Attività culturali e del Parlamento, contemplando adeguatamente i punti critici della normativa italiana in materia di circolazione e mercato delle cose di interesse artistico e storico, ha generato una proposta di riforma che appare sì rispettosa delle rivendicazioni essenziali manifestate nel corso delle riunioni e degli incontri svolti, ma al tempo stesso vuole essere garante dell’integrità contestuale del patrimonio storico-artistico italiano.
Su questa traccia si colloca l’innalzamento della soglia di anzianità del bene, ai fini delle indicate tutele di legge, dai cinquant'anni fino ai settant'anni dalla sua esecuzione, quando appare plausibile che in decenni di globalizzazione artistica spesso effimera, estremamente frammentaria e «spiazzante», quali quelli che abbiamo vissuto, i tempi necessari al «giudizio della storia» possano e debbano allungarsi.

Sul medesimo solco si colloca il citato aggiornamento dei criteri di valutazione dei beni presentati agli Uffici Esportazione, dei quali si chiedeva opportunamente il rinnovo mediante apposito decreto del Ministro, previsto entro 60 giorni dall'entrata in vigore della nuova disciplina, affinché sia meno vago il riferimento a «rarità» o «singolarità» del bene e divenga finalmente più chiaro il concetto di «utilità marginale» rispetto all’immenso patrimonio già posseduto (e faticosamente, quando non malamente o senza soldi, gestito) dallo Stato.
Tutto ciò, non senza una giusta attenzione al valore del bene considerato in relazione al contesto storico culturale di riferimento, purché a quel contesto il bene in questione sia saldamente e inequivocabilmente avvinto. A questo proposito, specialmente in presenza di opere di autore straniero, ma non solo, si è evidenziata l’esigenza che, a giustificare un veto all’esportazione o un vincolo dell’opera, sia riscontrabile «la presenza di un particolare ed intenso legame della cosa specifica o di quell’autore con il patrimonio culturale italiano».
È appena il caso di rimarcare in questa sede, a scanso di equivoci, che il sottoscritto ha dedicato un intero capitolo del suo Manuale di Diritto dei Beni culturali (Cedam, 2013) al tema del contesto culturale, riconoscendovi senza indugi il principio cardine della disciplina di tutela.
Aggiungo che una opposizione aprioristica a qualunque modifica di una disciplina assai risalente in nome della «tutela», incontra un limite nell'immotivato preconcetto secondo il quale si possa tutelare un bene solo entro i patrii confini (dove sta scritto?) e nell'altrettanto infondata convinzione che sia meglio rispettato l'art. 9 della Costituzione se un bene rimane presso un proprietario privato italiano (in un salotto brianzolo o in una masseria pugliese) anziché essere alienato, oltre confine, a un lord inglese o a un museo francese.
Esportare un'opera d'arte alla luce del sole non significa distruggerla: al contrario, spesso significa valorizzare tanto l'opera quanto la nomea dell'artista e, per quanto possibile, l'arte italiana nel mondo.
Di tutta evidenza e indiscutibile si direbbe ormai l'impellente necessità, come sopra accennato, che i diversi Uffici esportazione abbiano un atteggiamento uniforme e decidano secondo i medesimi criteri, senza che sia lasciato spazio a una elasticità interpretativa che degenera troppo spesso verso restrizioni aprioristiche e ingiustificate, o verso clamorose e nette difformità di giudizio perfino e paradossalmente nei confronti di opere in tutto e per tutto equivalenti, come in un caso che mi trovo attualmente ad affrontare in sede giurisdizionale.

Quanto alle soglie di valore, per quanto allo scrivente non sfugga la vena di volgarità insita in tale criterio, né una sua comodità applicativa solo apparente, vista la difficoltà di stabilire univocamente un valore di stima di un bene di tal natura tipicamente soggetto a molte oscillazioni, scartando di gran lunga verso il basso l'ipotesi di proposta normativa scaturita in prima battuta da suddetto tavolo, si è ritenuto possa fissarsi una soglia minima plausibile nel modesto valore di euro 13.500,00, così da potersi almeno scongiurare quel profluvio di oggetti anche seriali o di uso comune, quali tazzine da caffè o suppellettili insignificanti, oggetto di innumerevoli quanto inutili richieste di altrettanti attestati di libera circolazione o licenze di esportazione, che si dice essere da sempre uno dei motivi del sovraccarico e dei perniciosi ritardi operativi (talora letali al fine della credibilità stessa di circolazione e mercato italiano delle opere d'arte) degli stessi Uffici esportazione.
Una soglia di valore così bassa, risibile a fronte dei 150mila o dei 300mila euro che segnano un limite analogo in altri importanti Paesi europei, appare ben poco minacciosa.
Se ancora non bastasse, è prevista comunque, per i beni tra i 50 e i 70 anni di anzianità, la possibilità per gli Uffici ministeriali di intervenire bloccandone l'uscita dal territorio nazionale in presenza di un «eccezionale interesse» per il patrimonio storico artistico nazionale; oppure, in presenza di opera manifestamente più pregiata rispetto a una dichiarazione di valore inferiore ai 13.500 euro, la possibilità di intervenire al fine di «ristabilire la verità».
Giunto al termine questo lungo percorso, culminato nell'approvazione di tali nuove norme nel recente «ddl concorrenza», molti hanno invece gridato comunque allo scandalo, paventando da un lato che la nuova «soglia di valore» possa dare adito a dichiarazioni fraudolente e raggiri da parte di una classe antiquaria considerata alla stregua di una specie d'uccelli particolarmente rapaci, impegnati senza tregua a volteggiare sul patrimonio, dall'altro lato, paventando che l'innalzamento della soglia di anzianità dell'opera ai fini della tutela, possa strappare chissà quali capolavori dell'Arte povera, di Guttuso o di Morandi, senza considerare che l'arte del Novecento nasceva in grandissima parte per il mercato globale, o senza ipotizzare che i nostri musei ne siano forse già sufficientemente forniti.
Mi pare anche più che opportuno auspicare tempi più rapidi e certi per le decisioni da parte degli stessi Uffici esportazione, seppure in considerazione dell’endemica esiguità dei mezzi e del personale, senza con ciò indulgere all'introduzione della misura aberrante del «silenzio-assenso».
Il «silenzio-assenso» rappresenta infatti certamente uno strumento vile e insidioso, combattuto e sconfitto già in passato da forze trasversali all’arco parlamentare e come tale lasciato da parte nel progetto di questo gruppo di lavoro: eppure, ancora una volta esso sembra abbia fatto capolino nel recente «decreto Madia» di riforma della Pubblica Amministrazione, seppur subito avversato, in un folto coro di voci, da dichiarazione indignata del Presidente del Consiglio Superiore dei Beni culturali, Giuliano Volpe, o condannato dallo storico dell’arte Tomaso Montanari, come da Italia Nostra.
A margine, in termini di snellimento delle procedure, onde evitare ossessive reiterazioni delle istanze e un maggior respiro indispensabile alla competitività del mercato italiano veniva richiesto un aumento della durata della licenza di esportazione, eventualmente parificandola a quella degli attestati di libera circolazione.
Non si insinua altresì alcun rischio, è opportuno precisarlo, per le raccolte pubbliche o per i beni archeologi, che rimangono intoccati dalla riforma.

Per concludere, sono convinto che la delicata e capillare rete degli antiquari, e con loro i collezionisti italiani, possano uscire da questa riforma vivificati, così finalmente instaurandosi un clima di seria collaborazione con i soggetti pubblici alla valorizzazione del patrimonio storico artistico italiano, quando non al sostegno della sua tutela, a condizione, ben inteso, che la politica offra a sostegno del patrimonio culturale ministri e dirigenti di qualità e non politicanti o incompetenti d'ogni specie.
Il mondo antiquario e quello dei galleristi, da parte sua, rappresenta una trama indispensabile al patrimonio culturale, ove si esercita da sempre la nobile pratica dell’attribuzionismo e si sono formate schiere di storici e di critici dell’arte. Da quello stesso humus ricava linfa vitale il collezionismo: l’incitamento utile alla nascita delle collezioni, come l’entusiasmo necessario a incrementarle.
Qui si possono ricomporre contesti perduti o promuovere restauri insperati.
Qui può tornare a esistere la conoscenza di cultura e bellezza e rinnovarsi una diffusa fiducia nel loro valore sociale.

Giulio Volpe

Avvocato esperto in Diritto dell'arte, professore a contratto di Legislazione comparata dei Beni culturali all'Università di Bologna e autore del Manuale di Diritto dei Beni Culturali. Storia e attualità (Cedam, 2013, III edizione), già consigliere del Ministro per i Beni culturali

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Giulio Volpe, 23 agosto 2017 | © Riproduzione riservata

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