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Sara van Bussel
Leggi i suoi articoli«Sublimi» di Namsal Siedlecki (1986) è una mostra che esplora il potere trasformativo della materia, intesa come chiave di accesso a nuove letture e interpretazioni della realtà. Allestita negli spazi dell’ex chiesa di San Rocco a Bergamo fino al 25 giugno, si inserisce nella cornice del programma biennale dedicato al tema del rimosso nella società contemporanea, iniziato con la performance del poeta Ricardo Domeneck «Exercise in domestication» la scorsa primavera. La mostra si pone come una riflessione sulla trasformazione e la ritualità, intesa nel suo senso più profondo che è insieme materia e tempo.
Elementi ricorrenti nella pratica dell’artista, i processi fisici e chimici della natura e della tecnica, diventano qui strumenti concettuali attraverso cui indagare la soglia tra visibile e invisibile, tra immanenza e trascendenza. Il tempo, e in particolare il concetto di «Jetztzeit» elaborato da Walter Benjamin, rappresenta per me la chiave interpretativa che unisce e attraversa l’intero progetto.
Il cuore della mostra è l’opera «Paglia», una scultura in bronzo dalle forme femminili, posata su un piedistallo in terracotta. Ogni giorno, in apertura alla mostra, un blocco di ghiaccio secco viene prodotto da un’apposita bombola, anch’essa collocata nello spazio. Il blocco viene poi collocato nell’incavo sulla sommità della scultura: qui avviene la sublimazione, un processo fisico in cui una sostanza passa direttamente dallo stato solido a quello gassoso, senza attraversare lo stato liquido. Il ghiaccio secco, esposto alla temperatura ambiente, ritorna lentamente gas, avvolgendo la figura con un velo evanescente e temporaneo. Il soggetto della statua si ispira agli idoli in paglia creati per la celebrazione hindu della Durga Puja, festività annuale dedicata alla dea Durga, simbolo della forza divina e della vittoria del bene sul male. Durante la festa, che si svolge tra settembre e ottobre nel mese hindu di Ashvin, soprattutto in Bengala Occidentale e nella sua capitale Calcutta, la città si trasforma in un paesaggio di altari, colori e rituali quotidiani. Nel giorno conclusivo della Durga Puja, il Dashami, migliaia di statue della dea vengono portate in processione fino al fiume Gange, dove vengono immerse nell’acqua in un rito collettivo di congedo. Questo gesto simboleggia il ritorno della dea al suo regno celeste, la purificazione spirituale e il ciclo eterno di vita, morte e rinascita.
La scultura di Siedlecki, rifusa in bronzo da un modello originariamente effimero, racchiude in sé questo ciclo e lo cristallizza in una forma che unisce eternità e impermanenza, indagando la linea sottile tra le due. «Paglia» non è altro che un feticcio contemporaneo, che interroga la materia e il tempo, la devozione e la trasformazione. La riattivazione quotidiana della scultura, attraverso il duplice processo di creazione e successiva sublimazione del ghiaccio secco, unisce ritualità simbolica e precisione scientifica, evocando la trasfigurazione dell’anima e la sua trascendenza dal corpo, la cui matericità, destinata a dissolversi, diventa veicolo di passaggio. Osservando il contrasto tra il corpo scuro scultoreo e l’organico blocco di ghiaccio che lentamente sublima intorno alla sagoma, l’impressione è di permanenza e insieme di veloce mutamento, un’aura che si ottiene quando l’opera si presenta nel suo «hic et nunc». In questo contesto, il tempo non è solo cronologico ma esperienziale e carico di possibilità: un tempo che è denso, è presente, «Jetztzeit».
Fugacità e permanenza sono alla base anche delle altre due serie di lavori incluse nella mostra, distribuiti tra il piano inferiore e quello superiore dello spazio. La tela «Deposizione», collocata nell’ex fontana, presenta una superficie che, da bidimensionale, si è trasformata in scultura tridimensionale grazie all’azione di un’acqua vulcanica dalle proprietà particolari. L’opera è stata esposta per sei mesi sotto una cascata a Saint-Nectaire, un piccolo villaggio nella Francia centrale. Qui, a contatto con l’acqua ricca di minerali, la tela in juta si è progressivamente pietrificata. Il lento scorrere dell’acqua ha depositato cristalli di calcite sulla superficie, innescando un processo simile alla formazione delle stalattiti. Tuttavia, mentre queste ultime richiedono secoli per svilupparsi, la natura, in questo caso, accelera il tempo, offrendo allo spettatore il risultato di un viaggio geologico condensato in pochi mesi. Anche qui, secoli si aggrumano, si accavallano e cristallizzano in materia concreta, in un passato che è qui ed ora. Presente.
L’opera «Limes», sospesa sotto la cupola del presbiterio, torna invece sul concetto di limite e frontiera. Secondo la legge italiana, quando viene rinvenuto il corpo di un lupo, esso deve essere cremato in centri specializzati. In «Limes», le ceneri di un lupo sono state incorporate in cristallo fuso, poi colato in stampi che ne determinano la forma definitiva. L’opera evoca un legame ancestrale: i Romani, che veneravano ma al contempo temevano il lupo, animale mitico che, secondo la leggenda, aveva nutrito i loro avi, furono anche i primi a realizzare finestre di vetro per proteggere le proprie abitazioni dai loro attacchi. Essi chiamavano «limes» il confine, inteso come spazio sia domestico sia imperiale. Questa finestra, tradizionalmente barriera tra mondo umano e mondo animale, si trasforma qui in elemento di unione. Come l’altare, luogo in cui si incontrano umano e divino, «Limes» diventa uno spazio simbolico in cui due universi si toccano, separati solo da una trasparenza fragile e sacra.
Le opere di Siedlecki indagano proprio questo: la dimensione liminale, quello stato fragile ma potentemente generativo che esiste tra il presente e il futuro, tra ciò che è e ciò che potrebbe essere. Una soglia di passaggio, dove la materia cambia, il tempo si addensa e il senso si rivela. In questo contesto, il tempo non è misura lineare, ma presenza attiva, tensione trasformativa. È un «adesso» carico di potenziale, in cui passato e futuro si contraggono e si manifestano in forma. In «Sublimi», il tempo si fa materia e la materia diventa tempo: un tempo che non scorre, ma incide.