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A Milano il punto sul soft power culturale: imprese, musei d’impresa e nuove alleanze pubblico–privato

L’impresa italiana sta passando dalla sponsorizzazione a un investimento culturale strutturale che rafforzano fiducia e reputazione e ridefinisce il ruolo dell’azienda come attore culturale dei territori

Rosalba Cignetti

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Nel panorama economico italiano, la cultura non è più un elemento accessorio, né un capitolo marginale delle strategie aziendali. Sempre più spesso si configura come una leva competitiva, un fattore identitario e una risorsa di coesione territoriale. È questa la traiettoria emersa con forza nel talk «Soft Power Culturale. La cultura che muove l’impresa», organizzato da Assolombarda e Havas Arte e Cultura il 20 novembre 2025, all’interno della Settimana della Cultura d’Impresa di Confindustria: un confronto che ha mostrato come l’impresa italiana stia attraversando una trasformazione profonda, passando dalla sponsorizzazione culturale a un investimento strutturale e strategico nella cultura. Al centro dell’incontro si è affermata una visione sempre più condivisa: fare impresa significa oggi anche produrre cultura. Non si tratta soltanto di sostenere musei, eventi o progetti artistici, ma di assumere un ruolo attivo nella crescita civile dei territori, creando valore economico insieme a identità, fiducia e capitale sociale. In questo scenario, l’impresa emerge come attore culturale capace di modellare nuove alleanze tra pubblico e privato e di contribuire alla definizione di un ecosistema creativo che, soprattutto a Milano, si configura come una delle principali infrastrutture del soft power italiano. Le cifre presentate da Paola Dubini (Università Bocconi) descrivono con chiarezza la dimensione del fenomeno. Le fondazioni di origine bancaria destinano ormai un quarto delle loro erogazioni alla cultura, per un totale di 246,9 milioni di euro nel 2023. Le imprese, dal canto loro, hanno sviluppato un fitto sistema di musei e archivi d’impresaoltre 150 solo all’interno di Museimpresa — trasformando memorie produttive, design industriale e sapere tecnico in un patrimonio condiviso. Lo strumento dell’Art Bonus ha attivato, dal 2014, oltre un miliardo di euro, con più di 45.000 mecenati tra aziende, fondazioni e privati cittadini. A questo quadro si aggiunge il comportamento delle famiglie italiane, con una spesa media mensile di 32 euro per consumi culturali e una fruizione crescente di iniziative gratuite, festival e contenuti digitali. Tutti elementi che confermano la cultura come settore produttivo a pieno titolo, con un impatto crescente su occupazione — in particolare giovanile — innovazione e sviluppo. Il valore strategico della cultura è stato richiamato anche dall’On. Gianmarco Mazzi, che ha insistito sulla dimensione geopolitica del soft power, e da Luigi Abete, presidente di Confindustria Cultura Italia, per il quale la cultura deve essere riconosciuta come asset industriale, non solo come bene da preservare. In questa prospettiva, l’impresa diventa un luogo in cui si sperimentano nuove competenze, si consolidano identità organizzative e si attivano percorsi formativi capaci di generare innovazione. Un contributo particolarmente significativo è arrivato dal sociologo Francesco Morace, che ha illustrato come arte e cultura rafforzino la «catena del valore della fiducia». La cultura, in questa lettura, non agisce come ornamento reputazionale, ma come infrastruttura simbolica: rigenera le organizzazioni, intercetta i linguaggi delle nuove generazioni, valorizza i territori, abilita nuove tecnologie, orienta visioni di futuro. Una prospettiva che restituisce la cultura come fattore generativo, capace di produrre significati condivisi e di orientare la percezione pubblica dell’impresa. La tavola rotonda ha portato esempi concreti di come questa trasformazione sia già in atto. La Regione Lombardia, rappresentata dall’assessora Francesca Caruso, ha ribadito la necessità di rafforzare la cooperazione pubblico–privato per sostenere la diffusione della creatività sul territorio. Cimbali Group, con il MUMAC, ha mostrato come un museo d’impresa possa diventare laboratorio culturale aperto alle scuole e alla comunità. Irinox e la Venice International Foundation hanno evidenziato il ruolo della cultura nel ridefinire modelli organizzativi e strategie di sostenibilità. RTA ha presentato la sua collezione aziendale come strumento per rendere visibili — e trasmissibili — i valori identitari dell’impresa. Banco BPM ha ricordato l’importanza che le collezioni d’istituto assumono nel rafforzare il legame con i territori, soprattutto in aree con minore accesso all’offerta culturale.

 

Il quadro che emerge è quello di un ecosistema in cui arte e impresa non appartengono più a sfere separate. La cultura smette di essere un semplice «valore aggiunto» per diventare un elemento strutturale delle strategie aziendali: una forza gentile che consolida reputazione, produce coesione, alimenta fiducia. Se Milano continua a porsi come laboratorio di questo modello — capace di integrare produzione, creatività e innovazione — l’Italia nel suo complesso appare sempre più orientata verso una cultura intesa non come costo, ma come investimento: un’infrastruttura immateriale in grado di produrre sviluppo economico e valore sociale.

Rosalba Cignetti, 22 novembre 2025 | © Riproduzione riservata

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