Le figure femminili dei manifesti pubblicitari di Alfons Mucha (1860-1939) si possono considerare come le antenate delle modelle un po’ (o molto) discinte che hanno lungamente imperversato nelle pubblicità degli scorsi decenni, attirando gli sguardi dei passanti sulle proprie forme e, insieme, sui prodotti che pubblicizzavano. È stato Mucha infatti, pittore, scultore e geniale cartellonista, ma anche patriota e fiero militante dalla causa slava (cittadino dell’impero austro-ungarico, era nato in Moravia, oggi Repubblica Ceca), a intuire assai per tempo l’efficacia comunicativa di quelle composizioni di cui la donna-fiore, tipica dell’Art nouveau, rappresentava il focus abbagliante. A regalargli una fama mondiale fu il sodalizio stretto a Parigi con la celebre attrice teatrale Sarah Bernhardt: per sei anni, la «Divina» gli affidò la propria immagine, sedotta dall’affiche da lui realizzata nel 1894 per il dramma «Gismonde» di cui lei era la protagonista, e la sua fama portò il nome di Mucha oltreoceano, dove all’inizio del ’900 l’artista soggiornò più volte, accolto come un divo. Le pubblicità per lo champagne Moët & Chandon, per Nestlé o per le sigarette Job (un’affiche magnifica!), per citarne alcune soltanto, avrebbero fatto il resto. Tanto che fu coniata la definizione di «Style Mucha». Intanto, però, il suo amore per la causa slava lo spingeva a dipingere il ciclo monumentale dell’«Epopea slava» (1912-26), qualificandosi come acceso patriota. E quando, nel 1939, Hitler occupò la Cecoslovacchia, benché lui fosse già malato, fu subito interrogato dalla Gestapo, e questo accelerò la fine dell’artista.
La sua figura complessa, di campione dell’ebbrezza gioiosa dell’Art nouveau e al tempo stesso di militante, è raccontata nel Museo Mucha, che dal 24 febbraio si apre nel cuore di Praga, nella sede di Palazzo Savarin, un elaborato edificio tardobarocco del XVIII secolo, appena restaurato dal gruppo Crestyl, importante promotore immobiliare ceco. La nuova istituzione ha una superficie più che doppia rispetto all’altro Museo Mucha di Praga, situato nella vicina via Pánská e precedentemente affiliato alla Fondazione Mucha, diretta dal pronipote dell’artista, Marcus Mucha, il quale afferma che l’accordo è stato «rescisso» nel maggio 2024. Da allora, sostiene Mucha, «l’operatore precedente non ha più alcun diritto di agire come tale né di utilizzare alcuna proprietà intellettuale relativa alla Collezione della Famiglia Mucha. Lo spazio espositivo di via Pánská non è più affiliato né appoggiato dalla Fondazione Mucha e le sue attività non sono autorizzate e violano gli obblighi contrattuali». Il museo di via Pánská si presenta tuttavia come «l’unico al mondo dedicato alla vita e all’opera» di Mucha; nel sito web il nuovo museo afferma dal canto suo di essere «l’unico museo ufficiale dedicato all’artista ceco».
La Fondazione Mucha è stata istituita dopo la morte del figlio dell’artista, Jirí, nel 1992, dalla moglie di quest’ultimo, Geraldine Mucha, e dal loro unico figlio, John Mucha. Geraldine ha istituito anche il Mucha Trust per gestire il patrimonio artistico di Mucha. Marcus Mucha afferma che le opere appartenenti al Mucha Trust sono state rimosse dal sito di via Pánská e «sono ora a riposo». Il museo di nuova istituzione presenta tra i suoi pezzi forti il ciclo dell’«Epopea slava», finora conservato in un castello a causa delle sue dimensioni (si tratta di venti tele monumentali: le sette più grandi misurano 8x6 metri), ma anche delle polemiche che lo accompagnarono al suo disvelamento, quando l’artista, nel 1928, lo donò alla città di Praga in occasione del decimo anniversario della proclamazione della Repubblica cecoslovacca. Ma il ciclo suscitò molte polemiche: ne furono criticati sia lo stile, giudicato fuori moda, sia lo spirito nazionalista dell’artista, considerata la raggiunta indipendenza della Cecoslovacchia nel 1918. Il padiglione richiesto da Mucha alla città di Praga per l’esposizione del ciclo non fu mai costruito, ma era soltanto l’inizio delle tormentate vicende (se ne temette anche la distruzione da parte degli occupanti nazisti) di quelle tele. Ora possono essere finalmente esposte, insieme ad altre opere della collezione della famiglia, conferita all’omonima Fondazione. Grande spazio nel museo, il cui allestimento è stato progettato dallo studio di architettura ceco AI Design, è ovviamente assegnato alle affiche, linguaggio artistico cui l’autore assegnava un valore primario, trattandosi di un’arte pubblica, democratica, fruibile da tutti.
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