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Anna Fox, «Thatcher», dalla serie «Friendly Fire (1989)», 2025

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Anna Fox, «Thatcher», dalla serie «Friendly Fire (1989)», 2025

A Roma si può capire la vera Gran Bretagna

Da Matèria otto artisti tracciano una mappa sentimentale e politica dell’Inghilterra degli ultimi vent’anni

Germano D’Acquisto

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In fondo, non c’è niente di più britannico della fotografia: un medium che ama il dubbio, l’ambiguità, il dettaglio rivelatore e l’understatement concettuale, praticamente il ritratto psicologico del Regno Unito. «In Plain Sight: Photography, Power and Public Space in Britain», la mostra di Matèria, a Roma, cocurata con Christiane Monarchi e in scena fino al 31 gennaio 2026, parte da qui per restituire una mappa sentimentale e politica della Gran Bretagna degli ultimi vent’anni. Una mappa che non coincide con quella di Google Maps, ma con quella delle tensioni che attraversano il Paese: identità, razza, classe, nostalgia e humour nero. Tutto ciò che rende l’Inghilterra uno dei laboratori più instabili (e più interessanti) del nostro tempo. È una mostra che chiede di leggere la fotografia come gesto, come prova, come specchio deformante di una contemporaneità che negli ultimi anni (Brexit, austerity, crisi istituzionali seriali, fiammate identitarie) ha smesso di voler apparire rassicurante. Il fatto che la mostra risuoni con la storia personale di Niccolò Fano, direttore di Matèria e residente britannico «di formazione», non è un dettaglio: gli otto artisti selezionati sono i tasselli di un atlante di immagini che raccontano ciò che l’Inghilterra oggi è davvero, al di là delle tazze di tè vendute a Heathrow. 

Anna Fox apre la partita con «Friendly Fire» (1989): manager in mimetica che giocano al paintball nella Gran Bretagna thatcheriana, immagini che oggi sembrano commentare l’Inghilterra post Brexit, un Paese che continua a mettere in scena conflitti simbolici per non affrontare quelli reali. Jermaine Francis, con «A Post Industrial Dreamscape» (2024), compone un saggio visivo che è un autoritratto collettivo dell’Inghilterra contemporanea: musica, diaspora, architettura che cade a pezzi, rave culture come unica forma di democrazia emotiva rimasta; un Paese che oscilla tra malinconia e trance, condizione perfettamente riconoscibile per chiunque abbia passato almeno un inverno a Londra. Sunil Gupta con «Trespass» (1995) affronta la politica della visibilità queer e diasporica in contesti che sembrano volerla respingere: collocare identità marginalizzate nello spazio pubblico britannico è un atto di riscrittura cartografica. Karen Knorr, con «Country Life» (1984), colpisce al cuore uno dei tabù più longevi del Paese: la classe sociale. Le sue immagini sono un manuale ironico sulla persistenza del privilegio inglese, un’operazione a cuore aperto della Britishness. Con «False Flags», MacDonaldStrand sottrae digitalmente le bandiere dalle manifestazioni nazionaliste, rivelando quanto il potere simbolico di quei corpi fosse tutto nell’emblema che portavano: un commento diretto alla fragilità identitaria dell’Inghilterra post referendum.

Poi c’è Sarah Pickering, che con il suo «Explosion» (2004-09) fotografa detonazioni sceniche utilizzate dall’esercito: esplosioni addomesticate, esteticizzate, che sembrano più vere di molte narrazioni ufficiali. John Stezaker poi continua a decostruire l’immaginario britannico come un chirurgo dell’inconscio: taglia, ricompone, suggerisce, trasformando la familiarità in perturbazione. Chiude infine Bettina von Zwehl con delicate astrazioni su bustine da tè usate, simbolo coloniale per eccellenza: fragilità, luce, paesaggi che emergono dal quotidiano come metafore della precarietà di oggi. E mentre dentro la galleria si scompone il passato recente della Gran Bretagna, nella vetrina esterna l’installazione «Collective Memory» di Nicolás Lamas, nuovo capitolo del progetto Overton Window nato con Re:humanism, introduce la dimensione algoritmica del presente: là dove la memoria non è più una questione di archivi personali, ma di database che selezionano al posto nostro che cosa ricordare. «In Plain Sight» funziona perché restituisce una verità semplice ma spesso rimossa: per capire la Gran Bretagna bisogna guardare dove non si guarda mai, nei dettagli, negli enigmi minimi. È lì che la fotografia smette di essere rappresentazione e torna a essere, finalmente, rivelazione.

Sunil Gupta, dalla serie «Trespass (1992-95)», 2025. Photo: Rag Baryta. Courtesy the artist and Matèria, Roma

Sarah Pickering, «Groundburst N.1», dalla serie «Explosion (2004-09)», 2004

Germano D’Acquisto, 11 dicembre 2025 | © Riproduzione riservata

A Roma si può capire la vera Gran Bretagna | Germano D’Acquisto

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