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Dario del Bufalo
Leggi i suoi articoliDue anni fa a Roma all’Ara Pacis si teneva una mostra promossa dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni culturali e dal Comune dall’evocativo titolo «Lex, giustizia e diritto dall’Etruria a Roma» (27 maggio-1 ottobre 2023), rassegna che lasciava pensare che la legge e il rispetto di questa fossero il filo conduttore seguito dai curatori per la scelta di oggetti da esporre. È curioso che in Italia nel collezionismo e nel commercio privato dei beni artistici ci sia una rigidissima (anzi, ultimamente diventata insostenibile) attenzione alla titolarità dell’opera d’arte, alla sua autenticità, alla provenienza storica e al valore dichiarato del bene artistico, che nel caso dell’arte antica deve risalire con ricevute e fatture fino ai proprietari a un periodo antecedente il 1909. In definitiva, chiunque possegga un oggetto d’arte antica (classica) dovrebbe dimostrare la sua provenienza a ritroso, passaggio dopo passaggio, per più di cento anni.
Mi chiedo come sia possibile tutto ciò se già negli anni Settanta nessuna galleria emetteva fatture delle opere vendute sul mercato. Per la pubblica amministrazione vale la stessa regola? Per la suddetta mostra sembrerebbe di no, visto che almeno quattro opere antiche in marmo provenienti da una collezione privata di Siena sono risultate false, addirittura acquistate su piattaforme online e dichiarate di epoca romana imperiale, senza un’expertise e senza una provenienza, pertanto anche acquisite illegalmente. Il Tribunale di Roma, dopo un’attenta indagine della Guardia di Finanza e del suo gruppo specializzato in archeologia e a seguito di diverse perizie condotte da specialisti, ha stabilito che si trattava di falsi fraudolenti, in quanto invecchiati con rotture e patine atte a simulare lo scavo archeologico, ipotizzando un danno erariale.
Il 7 marzo 2025 «La Repubblica» ha pubblicato un articolo a firma di Giuseppe Scarpa di questo tenore: «Ara Pacis, mostra con truffa: quattro reperti esposti erano falsi, sequestrato il catalogo, indagati il curatore Lemmo e il collezionista Casprini. Le opere sarebbero state acquistate online: il valore è passato da 12mila a 725mila euro, Comune di Roma e Sovrintendenza sono parte lesa…». Bizzarro, perché la Sovrintendenza del Comune di Roma si avvale di storici dell’arte e archeologi per le sue mostre e il sovrintendente Claudio Parisi Presicce è anche direttore dei Musei Capitolini da quasi vent’anni. Essendo il primo firmatario del catalogo e il sovrintendente del Comune, il suo ruolo lo rende anche responsabile della mostra stessa e avrebbe dovuto avere le competenze per stabilire se qualcuno stava prestando una cosa per un’altra, «aliud pro alio»: come possono la Sovrintendenza e il Comune di Roma essere parte lesa? Così sembra strano e improbabile che nessuno si sia accorto dei grossolani (per usare un eufemismo) falsi proposti per l’esposizione. Dunque, due sarebbero le spiegazioni possibili: la Sovrintendenza ha capito che i beni erano falsi e ha lasciato correre (chissà perché) oppure è stata incapace di capire che si trattava di falsi, cosa che anche uno studente del primo anno di università avrebbe compreso.
Un ulteriore articolo apparso online su «The Journal of Cultural Heritage Crime» (18 marzo 2025), a cura di Carlo Maria Vassallo, riporta le responsabilità nell’alveo giusto e sottolinea l’importanza dell’etica con i parametri di «due diligence» specialmente per le strutture pubbliche e i musei laddove nelle mostre mercato, come il Tefaf di Maastricht o la Biaf di Palazzo Corsini a Firenze, si ricorre al «vetting», cioè a una commissione di decine di esperti e specialisti esterni che, prima dell’evento, vagliano in modo scrupoloso e quasi ossessivo legittimità, originalità, provenienza storica, pertinenza e valore di ogni singola opera che entra nella manifestazione di una mostra mercato. A un anno dalla fine della rassegna, sembrerebbe che la collezione privata sia stata proposta per andare in vendita a un’asta romana (agosto 2024). Giulio Andreotti per ultimo ma anche papa Pio XI dicevano: «A pensar male si fa peccato ma spesso si indovina».

Una delle quattro opere romane antiche in marmo, provenienti da una collezione privata di Siena, risultate false
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