Image

Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine

Image
Image

ABO è il re del paese della cuccagna

Guglielmo Gigliotti

Leggi i suoi articoli

In 19 regioni sono spuntati gli «alberi cosmici» della fertilità e della felicità creati dagli artisti per parlare di cibo, ansie, sogni, giochi e fame

Un bosco d’alberi consacrati all’arte è germogliato per tutta l’Italia. Sono le opere concepite da oltre 40 artisti in musei, fondazioni e gallerie di 19 regioni, per il progetto «L’albero della cuccagna. Nutrimenti dell’arte», curato da Achille Bonito Oliva, con il patrocinio di Expo 2015 e la collaborazione del Programma sperimentale per la cultura Sensi Contemporanei dell’Agenzia per la Coesione Territoriale e del Mibact.

Come spiega Bonito Oliva, «è un work in progress con cadenze e scadenze, secondo un respiro spaziale che leva alla mostra qualsiasi pedanteria monumentale».

L’albero cosmico della fertilità e della felicità, che le civiltà agricole arcaiche elessero a simbolo della salvezza dalla fame, torna d’attualità come campanello d’allarme per la catastrofe ambientale e alimentare che l’uomo sta rischiando di determinare. Fino al 10 febbraio, le alte aste delle feste popolari, cosparse di grasso, su cui si arrampicavano i giovani per raggiungere la «cuccagna» (dal latino «coquina», «cucina»), ovvero cibarie e bevande, hanno trovato le loro traduzioni di segno politico, poetico o ludico. «È un progetto che sollecita la fantasia infantile dell’artista, e un po’ anche la mia», dichiara Bonito Oliva.

A Roma, Gianfranco Baruchello, nella hall del Macro, ha allestito un giardino metafisico accostando una giovane quercia, una vecchia radice a vista, una serie di monitor e un letto, «luogo del sogno, della riflessione e del riposo», secondo l’artista, che ha voluto rappresentare «il tempo vegetale, che è altro da quello della politica e del vivere».

Al MaXXI, Pedro Cabrita Reis ha eretto una struttura di mattoni che pare sostenere, come un pilastro in rovina, l’aggettante volume del museo, per affermare «un ordine in cui è il piccolo e il debole a sostenere il grande».

A Napoli, l’albero di Marco Bagnoli è diventato una grande scala a pioli il cui sviluppo nasce da una sala del Madre, perfora il tetto e prosegue verso il cielo. Dall’altra parte della città, nella panoramica Vigna San Martino, di proprietà della Fondazione Morra, Paul Renner ha pensato agli insetti: i cinque metri della sua piramide sono infatti ricoperti di grasso animale, di cui vanno ghiotti i piccoli abitanti dell’aria. L’allegoria della gioia e della rigenerazione assume invece, nella concezione di Lorenzo Scotto di Luzio, la veste di una pioggia di vino rosso che cade dal soffitto di un vano di proprietà della Fondazione Morra Greco.

Per i giovani artisti residenti presso la Cittadellarte di Biella l’albero è orizzontale, è lungo un chilometro e ripercorre il tracciato di antichi sentieri dislocati nei pressi del polo artistico creato da Michelangelo Pistoletto.

Sulla stessa lunghezza d’onda è Elisabetta Benassi a Matera, dove a coincidere con i rami arborei sono quelle vie urbane in cui l’artista ha svolto una pubblica affissione di manifesti.

E se per Ben Vautier alla Fondazione Mudima di Milano l’albero è un pianoforte ricoperto da una miriade di piccoli oggetti in plastica, al Mart di Rovereto sono i violini prodotti da secoli con i legni degli abeti rossi della trentina Val di Fiemme a risuonare mentalmente nella video e audioinstallazione dei Masbedo. Come? Con i suoni e le immagini dei boschi d’abeti, nonché con tonfi provocati dal loro abbattimento.

La via ludica al culto dell’albero della cuccagna è stata percorsa da Felice Levini, presso Pescara, con un’asta che evoca le vacanze, l’infanzia e il mare, da Giovanni Albanese, a Frascati, con un’aerea struttura a cerchi concentrici di lampadine fiammeggianti, da Luca Maria Patella, con la sua piramide di sedie a Spoleto, vibrante di riferimenti duchampiani, da H.H. Lim al Marca di Catanzaro, con una lunga pertica terminante con tre sfere e una pianta di cactus.

La soluzione politica, oltre che da Marzia Migliora al Forte di Bard d’Aosta e da Lloyd Rees alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, è stata perseguita dal duo Goldschmied & Chiari con l’allestimento, alla Casa atelier del Museion di Bolzano, del set di una festa finita, tra bottiglie, fumi e oggetti dimenticati dagli avventori. È la cuccagna vista con la consapevolezza dell’oggi: una cuccagna finita. Gli addetti alla pulizia del Museion hanno interpretato il messaggio sin troppo radicalmente: scambiando l’opera per residui di una vera festa lasciati sul posto, l’hanno gettata nella spazzatura.

«Con una mostra non catastale e non notarile abbiamo voluto parlare del dramma di popolazioni sospinte dalla fame e dalla paura, spiega Bonito Oliva, per questo abbiamo messo tutte le forze in campo, per una mostra multidisciplinare, aperta alla contaminazione, al nomadismo e alla citazione dei culti di origine celtica dell’albero, perché se c’è chi passa alla storia e chi alla geografia, questa avventura passerà sia alla storia sia alla geografia».

Guglielmo Gigliotti, 25 novembre 2015 | © Riproduzione riservata

Altri articoli dell'autore

Una mostra nel Palazzo Bellomo di Siracusa presenta le meditazioni fuori dal tempo del fotografo

Guidati da Oscar Tuazon, altri 12 artisti internazionali espongono sculture, dipinti, installazioni, video e fotografie ispirati all’acqua

Alla Galleria d’Arte Moderna di Roma tre personalità di spicco della pittura novecentesca italiana in due allestimenti

L’ha spuntata su 44 candidati. Ha lavorato con il Centro Pecci di Prato, il MaXXI, La Quadriennale e la Fondazione Prada

ABO è il re del paese della cuccagna | Guglielmo Gigliotti

ABO è il re del paese della cuccagna | Guglielmo Gigliotti