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Alberto Burri, Nero Cretto. Courtesy Sotheby's

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Alberto Burri, Nero Cretto. Courtesy Sotheby's

Abissi di nero e glitter spaziali. Il Novecento italiano brilla in asta a New York

Un nucleo di opere provenienti dalla raccolta di una delle più appassionate collezioniste d'arte del Novecento nostrano in asta a New York

Riccardo Deni

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Questo maggio Sotheby’s presenta a New York un eccezionale insieme di 15 opere che catturano i traguardi raggiunti da alcuni tra i più importanti artisti del dopoguerra, sia italiani che americani. Ciascuno a suo modo, questi artisti rispondevano agli effetti della guerra, ai radicali sviluppi in ambito scientifico, alle esplorazioni spaziali e al progresso tecnologico, oltre che all’arte dei loro contemporanei. Gli artisti presenti in questo gruppo – tra cui Lucio Fontana, Michelangelo Pistoletto, Salvatore Scarpitta, Alberto Burri, Alexander Calder e Claes Oldenburg – scelsero tutti di reagire in maniera radicale, rifiutando pennello e cavalletto, e mettendo in discussione la bidimensionalità del piano pittorico attraverso gesti sovversivi (modellando, forando, lacerando e scolpendo) per abbattere i confini tra pittura e spazio circostante. La collezione in vendita porta il titolo Im Spazio: The Space of Thoughts, un omaggio alla mostra epocale del 1967 curata da Germano Celant, considerata l’atto fondativo dell’Arte Povera. Una selezione di opere sarà esposta in anteprima da Sotheby’s a Milano – a partire da oggi e fino al 12 aprile – per poi essere presentata nella sua interezza al pubblico a New York prima della vendita come parte della Contemporary Evening Auction di Sotheby’s, prevista per maggio, con una stima complessiva superiore ai 30 milioni di dollari. Il nucleo di opere proviene dalla collezione di una delle più appassionate sostenitrici di questo momento artistico: Daniella Luxembourg, figura di riferimento e protagonista del mondo dell’arte internazionale da oltre cinquant’anni, descritta dall’amico e collega Simon de Pury come “una delle grandi dame del mondo dell’arte”. Il fil rouge della collezione è il desiderio degli artisti di esplorare lo spazio e la materialità, mettendo in discussione la supremazia della tela come mezzo espressivo per eccellenza: dall’impronta del dito di Fontana che assale la superficie scintillante e perforata di La fine di Dio, alla tela crepata del monumentale Cretto di Burri, fino alla forma dell’Italia riplasmata da Fabro con materiali diversi in Sullo stato. Così come questi artisti italiani ridefinivano i confini dell’arte tradizionale attraverso l’uso di materiali grezzi e non convenzionali, anche artisti americani come Oldenburg e Calder, contemporaneamente, sfidavano lo status quo nei loro rispettivi linguaggi. Sebbene i mezzi espressivi impiegati fossero differenti, tutti cercavano di annullare la distanza tra scultura e oggetto quotidiano, trasformando l’ordinario in qualcosa di straordinario. Nella casa di Daniella, Calder e Oldenburg dialogavano con Fontana, Burri e Manzoni – opere che coesistevano nello stesso spazio, generando conversazioni inaspettate e profonde tra loro. Per Daniella, la ricerca di queste opere è stata importante quanto le acquisizioni stesse. Le ha inseguite con lungimiranza pionieristica, ben prima che questi artisti venissero pienamente riconosciuti per il loro impatto catalizzatore nella storia dell’arte. La sua convinzione era tale da spingerla a fare tutto il necessario per ottenere i lavori che meglio li rappresentassero, stabilendo, nel frattempo, numerosi record d’asta per artisti come Scarpitta, Pistoletto e Oldenburg. Molte opere vantano una provenienza eccezionale: lo Scarpitta, ad esempio, apparteneva alla collezione del visionario gallerista e collezionista d’avanguardia Michel Durand-Dessert; allo stesso modo, Sullo stato di Fabro è passato per le mani dei tre mercanti più influenti dell’Arte Povera: Gian Enzo Sperone, Christian Stein e Massimo Minini.

Viaggio all'interno della Collezione

LUCIO FONTANA

Concetto spaziale, La Fine di Dio

1963

Stima: $12-18m 

Capolavoro emblematico dell’astrazione del dopoguerra, Concetto spaziale, La Fine di Dio appartiene a una delle serie più celebrate e concettualmente ambiziose di Lucio Fontana. Questo ristretto gruppo di opere nasce in un momento cruciale degli anni ‘60, quando le straordinarie conquiste nel campo dell’esplorazione spaziale diventano il catalizzatore della successiva produzione artistica dell’artista. Dei 38 dipinti che compongono la serie, Concetto spaziale, La Fine di Dio è uno dei soli dieci a presentare una superficie ricoperta di glitter – un elemento visivo impressionante nell’evocazione celeste del cosmo da parte di Fontana. Altri due esemplari con glitter sono conservati al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid e alla Fondazione Lucio Fontana di Milano. A sottolineare la sua rilevanza storico-artistica, quest’opera compare in fotografie d’archivio scattate da Ugo Mulas nello studio dell’artista e farà il suo debutto all’asta da Sotheby’s questo maggio. Fontana creò queste opere tra il 1963 e il 1964 in occasione di tre mostre fondamentali a Zurigo, Milano e Parigi. Gli anni Sessanta furono segnati da grandi scoperte scientifiche, in particolare legate ai viaggi nello spazio, che affascinarono profondamente Fontana, allora sessantatreenne. Con lo sguardo rivolto all’universo, l’artista esplorò attraverso l’arte i concetti sollevati da queste scoperte. I fori e le incisioni sulla tela – che ricordano una superficie lunare – non solo violano il piano pittorico, ma aprono varchi attraverso i quali lo spettatore può accedere a una nuova concezione dello spazio. L’impronta fisica delle dita dell’artista – visibile nella parte inferiore dell’opera, dove preme direttamente sulla tela – aggiunge un ulteriore livello di intimità materica, raramente riscontrabile nei suoi dipinti.

ALBERTO BURRI

Nero Cretto

1976

Stima: $2.5-3.5m 

Opera rara della celebre serie dei Cretti, Nero Cretto è il primo esemplare monumentale della serie ad essere offerto in asta negli ultimi 15 anni, e uno dei più grandi mai presentati sul mercato secondario. Dei 37 Cretti monumentali, solo 19 sono stati realizzati in nero. La serie trae il nome dal termine francese “craquelure”, che indica le fratture superficiali tipiche dei dipinti antichi. Al contrario dei restauratori che cercano di evitarle, Burri le abbraccia, trasformando la screpolatura del pigmento in una dichiarazione estetica e concettuale profonda. Creati tra il 1970 e il 1979, i Cretti rappresentano l’apice della sperimentazione materica di Burri. L’artista ottenne le tipiche fenditure manipolando le proprietà chimiche del bianco di zinco unito all’acetato di polivinile (PVA), un legante resinoso, che faceva crepare la densa materia durante l’asciugatura. Sebbene il risultato emergesse in modo organico, Burri manteneva un controllo compositivo preciso, incidendo e modellando la superficie per guidarne la formazione — in un equilibrio tra casualità e intervento volontario. Altri esemplari della serie sono conservati in importanti collezioni museali, tra cui il Centre Pompidou di Parigi, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma e la Rachofsky Collection di Dallas.

ALEXANDER CALDER

Armada

1945

Stima: $5-7m 

Straordinario esempio dei celebri mobili di Alexander Calder, Armada dimostra l’abilità unica dell’artista nel fondere movimento, forma ed equilibrio. Sospesa in perpetuo movimento, l’opera reagisce all’ambiente circostante — rispondendo a correnti d’aria, variazioni di temperatura e alla presenza degli spettatori. Realizzata nel 1945, durante gli anni turbolenti della Seconda Guerra Mondiale, Armada si concentra sulla costruzione ingegneristica della forma, con elementi metallici sospesi in una tensione dinamica. La scultura, con il suo design innovativo, trasmette una potenza meccanica intensa, riflettendo lo spirito del tempo in cui fu creata.

 

Pistoletto, Maria nuda, Courtesy Sotheby's

Riccardo Deni, 10 aprile 2025 | © Riproduzione riservata

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