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Piero Gilardi alla Galleria Sperone di Milano nel 1967. Cortesia dell’artista

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Piero Gilardi alla Galleria Sperone di Milano nel 1967. Cortesia dell’artista

Addio a Piero Gilardi: l’arte come comunità e relazione

Artista, ma anche attivista, ecologista ante litteram, dagli esordi nell’Arte povera ci ha fatto riflettere sui rapporti tra uomo e natura. È scomparso a Torino, la città in cui era nato 80 anni fa

Lisa Parola

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L’8 marzo, durante il saluto a Piero Gilardi, nel giardino del Pav – Parco Arte Vivente, a Torino, Elena Re ha letto questa lettera:

« Caro Piero,

Raccontami di quando eri bambino e in tempo di guerra giocavi nell’orto dietro casa, attorniato da cavoli, zucche e mele cadute. Raccontami anche di quando eri giovane e passeggiavi lungo le rive del Sangone immaginando una natura finalmente pulita, incontaminata… Una natura ricreata da te, che scolpisci e colori il poliuretano espanso come per magia. Una natura tutta per noi, da vivere con senso di stupore e reincanto. Un universo paradossalmente artificiale, un’opera semplicemente da usare. Toccarla, coricarcisi sopra, giocare, fare l’amore… Così hai voluto che fosse il «Tappeto-Natura», nel 1965. Pezzo dopo pezzo, anche se a fasi alterne e passando attraverso nuovi percorsi di ricerca, il concetto racchiuso in questo lavoro è qualcosa che è nato in te e non ti ha mai abbandonato.

Il tuo impegno civile, ecologico, politico nel senso più ampio del termine, ti ha portato a pensare l’arte come atto relazionale e momento di profonda condivisione, e così hai proseguito deciso nel tempo. Piero, ora raccontami dei tuoi innumerevoli viaggi, parlami di quando hai fatto incontrare mondi solo in apparenza lontani, creando una vera comunità artistica internazionale. Esperienza dopo esperienza, hai scoperto che esisteva un’Arte Microemotiva e l’hai teorizzata.

Parlami poi di quel tuo vecchio sogno, quello di radunare tutti i tuoi tappeti sotto un’unica grande cupola opalescente e costruire così un paesaggio ideale. Che visione meravigliosa e che gioia averla potuta realizzare insieme, a Magazzino Italian Art. Ancora una cosa, prima di salutarti… Il Parco Arte Vivente è un luogo speciale, perché esprime il tuo infinito sentimento d’artista. Proprio qui siamo oggi con te, al PAV, per renderti omaggio con tutto il nostro affetto.

Grazie Piero, ciao!

Torino, 8 marzo 2023     »

Elena Re

Piero Gilardi era nato a Torino il 3 agosto 1942 e a Torino è scomparso domenica 5 marzo, dopo un lungo percorso professionale. Le sue opere e le sue ricerche continueranno a raccontare un’arte comune. «La dimensione relazionale e comunitaria, diceva, corrisponde alla nuova logica esistenziale che tutta la società umana dovrebbe iniziare a praticare»: è forse questo il lascito della sua ricerca artistica.

La questione del rapporto tra l’arte e la vita, tra l’io e il noi, è stata ampiamente dibattuta in ambito culturale a partire dagli anni Sessanta ed è tornata prepotentemente sulla scena in questi ultimi decenni. Nel contesto italiano e poi internazionale Piero Gilardi è stato di certo uno dei precursori di queste teorie. Tutta la sua ricerca ha sempre sorpreso per la coerenza intrecciata a una continua capacità di sperimentare e rinnovarsi.

Tra gli artisti italiani più conosciuti a livello internazionale a partire dai primi anni Sessanta, Gilardi lavorò da subito per rovesciare i canoni tradizionali dell’arte indagando invece un’inedita relazione tra naturale e artificiale, tra autorialità e fare comune, tra finzione e realtà.

Più vicino al design radicale che all’arte, Gilardi inizia con il produrre i «Tappeti-natura», lavori che, raccontava «non sono nati come quadri o come oggetti da galleria, sono una proposta per la vita di tutti i giorni, pensati come tappeti da mettere in casa e calpestare». Frammenti di ambienti naturali (spiagge, alberi, foglie), riprodotti intagliando un materiale innovativo mai utilizzato prima nell’arte come il poliuretano espanso e lavorati con l’uso di forbici e taglierini. Una natura artificiale fatta per essere esperita, usata, attraversata e prodotta non solo dall’artista ma ogni volta da una piccola comunità.

Se molti dei protagonisti dell’Arte povera utilizzavano materiali grezzi e quasi monocromi, Gilardi prediligeva invece una materia morbida e colori forti per riprodurre particolari di tronchi, sassi, petali di fiori o le sfumature delle zucche. Tracce di elementi organici capaci di sollevare un nuovo sguardo sull’ambiente. Oggetti più che opere, mai privi di una sottile, poetica e delicata ironia.

Con intelligenza e curiosità, negli stessi anni, Gilardi instaura un confronto serrato con artisti internazionali, interessati come lui a ricercare nuove forme e pratiche inedite in grado d’interrogarsi sulla funzione dell’arte in anni di forte cambiamento. Così, in un continuo movimento tra il dentro e il fuori della cornice dell’arte, l’artista attraversa da protagonista l’esperienza dell’Arte povera e del Deposito d’Arte Presente, uno dei primi spazi indipendenti a Torino.

Nel tempo espone a Parigi, Bruxelles, Colonia, Amburgo, New York, anche se poi se ne allontana. Nel 1969 ha un ruolo importante di mediatore e ideatore nelle esposizioni «Op losse schroeven» allo Stedelijk Museum di Amsterdam e «When Attitudes Become Form», alla Kunsthalle di Berna, due appuntamenti fondamentali che documentano l’arte delle nuove avanguardie europee. Sempre attento ai cambiamenti ma anche desideroso di rimanere autonomo dal ristretto sistema dell’arte, pochi anni dopo Gilardi sente l’urgenza di allontanarsi per seguire le trasformazioni sociali e politiche che gli stanno intorno.

In questo continuo andare tra l’arte e il mondo sono evidenti, in tutta la sua ricerca, le prime tracce di temi oggi quanto mai attuali e urgenti. Non solo la sensibilità in merito alla relazione con l’ambiente, ma anche riflessioni sul rapporto diretto e interattivo con l’opera da parte del fruitore, un’idea di esperienzialità che Gilardi non abbandonò mai insieme a un’idea politica del fare arte capace di toccare anche temi quali il lavoro o la psichiatria democratica.

Temi e pratiche che lo portano, nei primi anni Ottanta, a partecipare a percorsi di animazione al quartiere di San Judas a Managua, in Nicaragua, nella scuola indiana della riserva Mohawk di Akwesasne o con la tribù Samburu di Barsaloi, in Kenya; esperienze che Gilardi descriveva come «un rapporto diretto e liberatorio dell’espressione con i vissuti interiori, sia quelli connessi all’inconscio individuale che a quello collettivo».

A inizio anni Ottanta, torna in Europa e inizia a immaginare un «villaggio globale e tecnologico», oggetti e ambienti dov’è la tecnologia stessa che amplifica le sensazioni e le intenzioni dei fruitori. Gilardi concentra il suo lavoro su una polisensorialità potenziata dalla tecnologia e in grado di associare agli oggetti e agli ambienti il movimento e il suono.

Anche se mai davvero abbandonato, il tema della natura torna poi al centro dell’interesse di Gilardi con l’idea di un parco, un giardino in divenire, realizzato da lui e da molti: il Pav, Parco d’Arte Vivente di Torino. Inaugurato nel 2008 e ancora oggi attivo sotto la curatela di Marco Scotini: «Il concept del Pav si fonda su un’ibridazione di arte ed ecologia. Un’arte intesa come esperienza creativa e comunicativa in progress e un’ecologia concepita come articolazione della biologia e nel contempo come problema politico e culturale».

Parco e centro d’arte interattivo della natura sorto su un’ex area industriale, il Pav è dedicato alla bioarte e a esperimenti sociali al limite tra pratiche artistiche e rurali; un’esperienza che rimarrà e rafforzerà il presupposto che «l’arte non deve e non può essere un’esperienza individuale, non soltanto a livello di fruizione ma anche sul piano della creazione».

Lisa Parola, 05 marzo 2023 | © Riproduzione riservata

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