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Francesca Petretto
Leggi i suoi articoliFino al 14 aprile il Kunstmuseum ospita la grande mostra «Guarda la gente! Il ritratto tipo della Nuova Oggettività nel periodo di Weimar». Il titolo cita esplicitamente quello di un libro (Sieh dir die Menschen an! Was uns die biologische Verwandtschaft zwischen Körperform und Wesenskern des Menschen verrät) piuttosto in voga negli anni Trenta il cui l’autore, tale Gerhard Venzmer, aveva la pretesa di evincere, dall’osservazione dei caratteri somatici delle persone e dalla misurazione del loro cranio, una loro qualche appartenenza a questo o a quel più o meno nobile gruppo sociale ancorché etnico, come ben spiega il sottotitolo tradotto: «Ciò che ci viene svelato dalla relazione biologica tra la forma del corpo umano e la sua essenza», ovvero un’esasperata (e razzista) interpretazione in chiave novecentesca della nota kalokagathìa greca (V secolo a.C.) come da altri deliri di molta manualistica del tempo (tra cui il fin troppo celebre Cesare Lombroso e la sua «Teoria del criminale per nascita», figlia del farneticare di fisiognomica, darwinismo sociale e frenologia, principi pseudoscientifici ottocenteschi).
In un certo senso, la ritrattistica della Neue Sachlichkeit dovette, dalla metà degli anni Venti in poi, misurarsi non solo con l’esigenza di rappresentare la realtà senza trucchi (reagendo così al coevo Espressionismo) ma anche con queste pseudoteorie, non sposandole in toto, ma riscontrandone in molti casi, tra le fasce più povere e reiette della società tedesca del tempo, una qualche precisione, anche se il criminale ritratto da Otto Dix o George Grosz non è tale per nascita o appartenenza sociale, ma lo diventa reagendo alle terribili esperienze che compie in vita, nel mondo reale.
I ritratti neo oggettivi di Jeanne Mammen, Hanna Nagel e Hans Baluschek sono fortemente influenzati tanto dalla miseria e dalla devastazione lasciate dalla Grande Guerra quanto da una ricerca nell’arte di un nuovo «volto dei tempi», di nuovi «modelli» in grado di rappresentarli. A posteriori, vediamo bene che molti stereotipi e luoghi comuni del tempo hanno mantenuto solide radici nel nostro, ancora in grado di influenzare il modo in cui soppesiamo le persone. Tra i numerosi artisti in mostra ricordiamo anche Steffi Brandl, Erich Drechsler, Kate DiehnBitt, Conrad Felixmüller, Hans Grundig, Lotte Jacobi, Lotte Lesehr-Schneider, Christian Schad, August Sander, Kurt Weinhold e molti altri.

«Ritratto della giornalista Sylvia von Harden» (1926) di Otto Dix (particolare), Parigi, Centre Pompidou. © VG Bild-Kunst, Bonn 2023. Foto bpk/CNAC-MNAM/Jean-Claude Planchet
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