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Guglielmo Gigliotti
Leggi i suoi articoliRoma. Maurizio Nannucci (Firenze, 1939) porta al MaXXI, fino al 18 ottobre, le sue parole luminose, in una mostra antologica, ma non diacronicamente strutturata, curata da Bartolomeo Pietromarchi, dal titolo «Where to start from» (nel catalago edito da Mousse testi del curatore, di Stefano Chiodi e un’intervista all’artista di Hou Hanru).
In occasione della presentazione alla stampa, il 24 giugno, Anna Mattirolo, direttrice del museo, ha annunciato che «da oggi il MaXXI ha una nuova stella». È la grande scritta al neon, resa permanente dall’acquisto degli Amici del MaXXI, che campeggia sulla facciata del museo progettato da Zaha Hadid e nella quale Nannucci esprime un suo concetto fondamentale: «More than meets the eye». Più di quanto gli occhi vedano, oltre alle apparenze e dentro il significato profondo delle cose. Che per Nannucci, e tutta la generazione di artisti concettuali affermatisi a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, è impalpabile, immateriale, ma vibra nelle menti di tutti, ancor più che nell’opera, che potrebbe pure non esserci. «The missing poem is the poem» è il testo di un’altra installazione verboluminosa al neon del 1969. La poesia senza la poesia e l’arte senza l’arte è una delle scoperte più importanti della generazione di Nannucci, convinta che tutte le immagini sono immagini mentali e che l’arte è, da sempre, pensiero che prende forma. Che cosa rimane? Il pensiero, la suggestione, l’afflato, dicevano già i poeti romantici. John Keats, per esempio. Volle incisa sulla sua tomba, al Cimitero degli inglesi di Roma, la scritta «Qui giace un uomo il cui nome è scritto sull’acqua». Anche Nannucci scrive sull’acqua, in un suo importante ciclo fotografico del 1973.
Nannucci ha iniziato a evocare immagini con le parole di luce dal 1967. Le sue scritte, poste in relazione profonda con l’architettura che ne fa da supporto, hanno brillato in molte città d’Europa, portandolo a cooperare con architetti come Renzo Piano, Massimiliano Fuksas e Mario Botta. Prima erano solo i «Dattilogrammi» del ’64-65 (composizioni su carta di lettere e singole parole con esiti tra poesia concreta e geometrie astratte); ma poi fu forte il richiamo dello spazio, e venne la luce. Così con «Alfabetofonetico» (1967) e con «Corner» (1968, scrittura al neon disposta nell’intersezione di un angolo), l’artista toscano ha iniziato a esprimere con il neon il concetto che una grande installazione murale di questi ultimi anni, riproposta ora al MaXXI, sintetizza nella prima frase con queste parole: «There is another way of looking at things».
Di grande interesse in mostra una cinquantina di multipli realizzati a partire dal 1968, che valgono come pratica operativa a sé. Dal «Poema idroitinerante» del ’66-67, con sfere recanti lettere che galleggiano in un contenitore d’acqua, alla descrizione del tracciato da svolgere per le strade di Firenze se si vuole «scrivere» la parola «Star» (’73-75), al fermaporte in metallo idealmente destinato a bloccare la porta realizzata da Duchamp nel 1927 nella sua casa di rue Larrey 11 a Parigi (chiudeva un ambiente e contemporaneamente ne apriva un altro), a guidare Nannucci è stata sempre la lucidità del pensiero razionale e l’intelligenza dell’ironia.

«More than meets the eye», l'opera permanente di Maurizio Nannucci al MaXXI
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