Maichol Clemente
Leggi i suoi articoliA fine gennaio ha riaperto l’Accademia Carrara di Bergamo, rinnovata e riallestita. Mi auguro presto di poterla visitare, sia per farmene un’idea, sia per incontrare la moltitudine di opere lì raccolte, incluse quelle da poco arrivate per via di donazione (ovvero dalla raccolta Scaglia) o tratte fuori dopo anni dal buio dei depositi: va dato merito di ciò a Giulia Zaccariotto. È questo il caso, per esempio, di una scultura cui sono particolarmente affezionato, che conosco da tempo e su cui da tempo mi riprometto di scrivere con maggiore attenzione rispetto alla nota di sette anni fa dove l’assegnai allo scalpello di Tommaso Rues (1636-1703).
Esposta nella Sala 13, accanto ai rilievi Zeri di Giovanni Bonazza, essa raffigura Maria Maddalena penitente: ha gli occhi rivolti al cielo, le guance sono solcate di lacrime e i suoi capelli lunghi, lunghissimi, ne coprono insieme alle mani incrociate sul petto le nudità. È un mezzo busto magnetico, che attira a sé e desta compassione. Ci parla della bellezza e del peccato, del buio e della luce, del perdersi e ritrovarsi, della fragilità umana e della possibilità di redenzione concessa, sempre e comunque. Rues, il suo autore, era uno di quei maestri foresti, tedesco di nascita, approdati a Venezia sulla metà del Seicento, quando la pratica della scultura prese nuovamente vigore, conquistando infine un’indiscussa centralità nel panorama artistico della Serenissima, quindi dell’Europa.
Ciò che mi ha sempre affascinato di quest’opera è che indica qualcosa d’altro riguardo la storia del gusto dei collezionisti veneziani di quel momento: essa, infatti, esprime la fortuna di alcune invenzioni tizianesche, in questo caso specifico la «Maddalena penitente» conservata a Palazzo Pitti. Una moltitudine di ipotesi si potrebbe evocare per motivare la scelta della tela di Tiziano quale «archetipo» iconografico da tradurre in marmo. Tra le prime, se non la prima, è la sua indubbia fama. Ma può ciò bastare come risposta? Non credo.
Il gusto è una categoria umana che non si può imbrigliare facilmente, sfugge sempre. Pensando alla Maddalena di Rues, a quando finalmente la rivedrò nella sua nuova collocazione, mi accontento di leggere quanto scritto da Filippo Baldinucci alla voce «Venire» del suo Vocabolario toscano dell’arte del disegno (1681): «Fra’ nostri Artefici questa voce è usatissima […] è quanto dire essere alcuna pittura, scultura, o disegno & c. ricavata [da] altro Maestro; e così diciamo la tal pittura vien da Tiziano, cioè copiata dall’opere di Tiziano, o da disegno di Tiziano».
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